Margherita Venturi è professore ordinario di chimica dell’università di Bologna e svolge attività di ricerca presso il dipartimento di chimica "G. Ciamician” nell’ambito della fotochimica ed elettrochimica supramolecolare dedicandosi alla progettazione di congegni e macchine molecolari. Da sempre si interessa di divulgazione della scienza anche tra i più giovani.

Tu hai lavorato per anni con il gruppo di ricerca di Vincenzo Balzani, che gode di straordinaria fama. Puoi spiegarci quali innovazioni vi si devono?
Sul piano scientifico, la sua più grande innovazione è stata quella di riuscire a capire che se si mettono assieme molecole con proprietà ben precise, organizzandole da un punto di vista spaziale, temporale, energetico, si riescono a ottenere dei veri e propri congegni che hanno le dimensioni delle molecole, cioè del miliardesimo di metro. Nel quadro internazionale, Vincenzo è stato forse il primo a puntualizzare bene questo aspetto, ovviamente con la collaborazione di altri gruppi di ricerca, con il gruppo di J. F. Stoddart, prima in Inghilterra poi negli Stati Uniti, e con il gruppo di J-M. Lehn, premio Nobel per la Chimica nel 1987, e J. P. Sauvage a Strasburgo.
Chi ha dimestichezza con la chimica classica pensa all’interazione tra sostanze, ma quando si tratta di molecole, puoi spiegare come è possibile questa interazione? Quali categorie entrano in gioco?
Immagino che quando parli di "sostanze” tu intenda "cose” macroscopiche. In realtà,  quello che si vede ha una risposta a un livello che non si vede, il livello dell’ultra-microscopico proprio delle molecole. Se si potesse guardare con un microscopio potentissimo qualsiasi cosa visibile e tangibile, ci si renderebbe conto che le sostanze sono formate da queste entità, le molecole, e che proprio in base al modo con cui queste interagiscono derivano certe proprietà della sostanza. Ecco, la caratteristica fondamentale dei chimici è proprio quella di riuscire a muoversi continuamente fra questi due livelli. Se voglio ottenere un certo tipo di proprietà macroscopica vuol dire che a livello dell’ultra microscopico le molecole devono essere fatte, e devono interagire, in una certa maniera. Questo può essere fatto conoscendo le loro proprietà: metti insieme due molecole e capisci che quando sono a contatto si possono scambiare un elettrone, si possono scambiare energia...
Prendiamo ad esempio una "macchina” che abbiamo costruito e che abbiamo chiamato "Sunny”, perché funziona con la luce solare. È un sistema formato da due molecole, una molecola lineare in cui è infilata una molecola ad anello.
Il tutto è stato progettato a tavolino selezionando opportune unità da inserire nella molecola lineare e in quella ad anello prefiggendosi uno specifico scopo,  cioè che ogni impulso luminoso causasse, attraverso quattro stadi, il movimento alternato della molecola ad anello fra due posizioni ben definite della molecola lineare. Insomma, volevamo mimare a livello molecolare il comportamento di un motore lineare a quattro tempi.
Fin qui la progettazione; altri ci hanno costruito il sistema. Non è stato banale, ma ci sono riusciti e noi siamo anche riusciti a verificare che il sistema funziona esattamente come previsto a tavolino. Come faccio a capire se effettivamente questo sistema funziona come voglio? Semplicemente, si fa per dire, perché quando viene assorbito l’impulso di luce e l’anello si sposta vengono modificate delle proprietà misurabili sperimentalmente del sistema. Ci abbiamo comunque messo cinque anni, non è stato un lavoro da poco.
Fisicamente cosa si vede?
Assolutamente niente. Ti danno una polverina, leggermente colorata in giallo, la sciogli in un solvente adeguato ottenendo una soluzione, dopodiché vai a fare sulla soluzione quelle misure sperimentali che dicevo prima. Do luce e il sistema diventa una macchina molecolare, una macchina a quattro tempi: l’anello si sposta dalla posizione di partenza a un’altra lungo la molecola lineare e poi ritorna: in un millisecondo fa avanti e indietro fra queste due posizioni Queste cose le studio in soluzione, dove ho miliardi di miliardi di queste molecole che vanno ciascuna per conto proprio. È chiaro che funzionano tutte quando io illumino, ma non in maniera sincrona perché ciascuna lavora separatamente e autonomamente. Se voglio effettivamente ottenere qualcosa di utile, devo riuscire a organizzare tutte queste molecole, meglio se su un substrato solido, e fare in modo che ...[continua]

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