Dopo un anno di presidenza Trump si continua a parlare della sua elezione e della sua regolarità. Tu cosa ne pensi?
Sì, c’è un’indagine in corso affidata al procuratore speciale Robert Mueller, su una possibile collusione con Putin, che secondo i giornali potrebbe portare alla fine anticipata della sua presidenza, ma proprio i documenti resi pubblici in febbraio dimostrano che non sono stati i russi a eleggere Trump. Se si esclude, cosa che nessuno infatti sostiene, una alterazione materiale dei conteggi elettorali, quello che resta è questione di propaganda: l’Fbi ha scoperto che a San Pietroburgo esisteva una "fabbrica” di troll, di fake news, di inserzioni a pagamento su Facebook, oltre all’organizzazione di manifestazioni di sostegno al candidato repubblicano, tutte cose che avrebbero accentuato la confusione politica e favorito l’ascesa di Trump. Questo, però, appartiene a una categoria diversa rispetto alla manipolazione delle elezioni: è quello che gli Stati Uniti fanno da sempre in tutti i paesi del mondo e cioè sostenere un candidato più favorevole ai loro interessi geopolitici rispetto a uno meno favorevole.
Come ha dichiarato esplicitamente l’ex direttore della Cia James Woolsey su Fox News, gli Stati Uniti sono intervenuti nelle elezioni del 1948 in Italia e altri paesi, e continuano a farlo "per la buona causa” (cioè per i loro interessi nazionali) un po’ in tutto il mondo, cercando di favorire la vittoria di un partito rispetto a quella di altri partiti. Le indagini di Mueller, che per ora hanno toccato solo personaggi di terza categoria, hanno chiarito che l’azione dei russi nel 2016 mirava a sfruttare divisioni razziali e fratture sociali esistenti. Ma se è così, il problema sta nella società americana, non in quello che fanno agenti stranieri.
Le fratture sociali negli Stati uniti esistono, ed esistono non da oggi. Se guardiamo una carta dei risultati politici nelle contee, che sono un po’ più di 3.000, e osserviamo l’evoluzione politica di queste contee nell’arco degli ultimi 40 anni, scopriamo che la polarizzazione politica, cioè la semplificazione della geografia elettorale, è stata piuttosto rapida: ci sono due zone di voto per i democratici lungo le coste e, nel mezzo, un oceano di voto per i repubblicani, con qualche micro macchiolina: i centri urbani che tendono a votare democratico. Si può dire, infatti, che tutto quello che è "campagna” vota per i repubblicani, tutto quello che è "città” vota per i democratici. E non sempre è stato così.
Polarizzazione, poi, non significa solo che nella contea x si vota al 51% per i repubblicani e al 49% per i democratici, o viceversa, ma vuol dire che in circa 2.000 contee su 3.000, i candidati repubblicani prendono il 70% dei voti, quelli democratici il 30%, oppure viceversa. Per la precisione, nel 2016 ci sono state 2.475 contee dove lo scarto percentuale tra i candidati dei due partiti è stato superiore ai venti punti percentuali. Ci sono contee nel Texas dove i democratici hanno avuto sostanzialmente zero voti nelle ultime elezioni, mentre a New York, nel Bronx, hanno preso il 91% dei suffragi.
I due partiti, poi, non si sono progressivamente distanziati l’uno dall’altro solo geograficamente, ma anche per genere: il partito democratico, che non a caso nella prima volta nella storia ha presentato un candidato donna alla presidenza, si è femminilizzato: Hillary Clinton ha ottenuto il 54% dei voti delle donne. Ma questo è l’approdo di un lunghissimo processo, iniziato nel 1968, a partire dall’impegno su un tema determinante come quello dell’interruzione della gravidanza; il che, però, ha comportato, di converso, che i maschi si siano spostati di più verso il partito repubblicano. Quando il genere diventa una piattaforma programmatica, uno stile di lavoro e di comunicazione per un partito, l’altro quasi automaticamente si sposta per occupare lo spazio lasciato libero. Quindi il partito repubblicano si è mascolinizzato, come abbiamo visto negli slogan e nelle battute sessiste di Trump, che ha ottenuto il 53% dei voti degli uomini, contro il 41% alla Clinton.
Nello stesso tempo, il partito democratico si è trasformato nel partito delle minoranze, neri e ispanici in primo luogo, e la presidenza di Obama in questo ha segnato un punto culminante. Questo, a sua volta, ha ricollocato il partito repubblicano verso l’elettora ...[continua]
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