Telmo Pievani, professore all’Università di Padova dove ricopre la prima cattedra italiana di Filosofia delle Scienze Biologiche, si occupa di evoluzionismo e filosofia della biologia ed è stato fra i primi a diffondere in Italia le teorie di Stephen Jay Gould, Niles Eldredge e Ian Tattersall. Da più di dieci anni è tra i più apprezzati divulgatori del panorama italiano, grazie a libri come Introduzione alla filosofia della biologia (Laterza, 2005), Nati per credere (Codice Edizioni, 2008), La vita inaspettata (Raffaello Cortina, 2011), e il recente Imperfezione (Raffaello Cortina, 2019) che, illustrando l’enorme ruolo della contingenza nelle teorie scientifiche, mette in crisi i nostri pregiudizi sulla perfezione della natura.

Per tutto il suo libro un riferimento polemico costante è contro il Pangloss di Voltaire, il filosofo immaginario ultra-leibniziano convinto dell’intima perfezione della realtà. Perché ha sentito la necessità di iniziare ogni capitolo con un esergo dal Candide?
Mi fa piacere che sia stata notata, perché si tratta di una precisa scelta stilistica. Proponendo una teoria dell’imperfezione, sapevo che una delle questioni da affrontare era la sua incompatibilità rispetto a qualsiasi visione della natura provvidenzialistica o finalistica. Non volevo scrivere l’ennesimo libro contro l’intelligent design, ma sapevo anche che i miei lettori se lo aspettavano. Così ho pensato di polemizzare per via indiretta, semplicemente citando in esergo il Candide di Voltaire e le assurdità di Pangloss.
Chi sono i Pangloss di oggi?
In un passaggio del libro cito apertamente un filosofo contemporaneo, Daniel Dennett. Lo apprezzo molto come pensatore e come divulgatore, ma continuo a non condividere la sua visione dell’evoluzione come un processo ingegneristico, di “ricerca e sviluppo” come dice lui, di ottimizzazione progressiva. La mia idea è che la selezione naturale funziona proprio perché non porta alla perfezione.
L’esigenza di mettere l’accento sull’imperfezione della natura parte sempre dagli stessi obiettivi polemici, il pensiero teologico e il fanatismo religioso?
No, in questo caso il mio obiettivo polemico era contro un certo modo di intendere la natura. Ci separano due secoli da David Hume, ma l’idea che la natura sia depositaria di armonia, equilibrio e perfezione, di un’autorità quasi morale, è ancora molto persuasiva, non solo in campo teologico. Ho pensato di metterla in discussione anche perché il tema dell’imperfezione si trova spessissimo in letteratura (effetti collaterali, disfunzioni) ma non c’è una trattazione generale che spieghi il perché della sua onnipresenza. Ci sono tante spiegazioni, ma la più importante e decisiva è che la selezione naturale lavora con il materiale che ha a disposizione, ovvero con vincoli storici pregressi. Ritorna il grande tema di Stephen Jay Gould dell’evoluzione come una continua dialettica tra funzioni e strutture: tra condizioni di esistenza esterne, che cambiano in continuazione, e vincoli strutturali interni, che sono il frutto di una storia pregressa. Il risultato concreto dell’evoluzione sta tutto nel compromesso, nell’antagonismo fra queste due pressioni.
Eppure nella conclusione dell’Origine delle specie sembra che Darwin manifesti ancora delle tare teleologiche. Cito: “La selezione naturale lavora esclusivamente mediante il bene e per il bene di ciascun essere. Tutte le qualità del corpo e della mente tenderanno a progredire verso la perfezione”. Darwin era un Pangloss?
È una contraddizione che c’è in lui. Due capitoli prima Darwin dice esattamente il contrario. Si può spiegare in due modi. Il primo è che l’Origine delle specie è un cantiere aperto.
L’ha detto molto bene Peter Godfrey-Smith: si tratta di un lavoro buttato giù velocemente, in tredici mesi, sui quali Darwin lavora continuamente fino all’ultima edizione. Da qui la mancanza di organicità. Ha una struttura fatta alla rovescia: la parte centrale non sta in piedi perché non è collegata né alla seconda né alla prima.
Imperfetta...
Assolutamente. Però un capolavoro nella sua imperfezione. Con quella frase, Darwin vuole sottolineare che la selezione non lavora per il bene delle specie ma per il singolo individuo. Dunque, sul singolo, il processo selettivo porta a un aumento progressivo di funzionalità -che è vero, in molti casi, ad esempio per l’occhio. Ma lui stesso fa un sacco di esempi contrari. Un suo passaggio suona così: “La natura gronda di inutilità”. E quest ...[continua]

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