Georgeta Negrutiu, rumena, vive e lavora in Italia. L’intervista appare in un libro intitolato È andata così, curato dalla redazione di “una città” per conto del Centro donna di Forlì, tutto dedicato a donne immigrate.

Sono nata in Romania nel 1950. La mia mamma proveniva da una famiglia non ricchissima, ma benestante. Lei e i suoi fratelli erano riusciti a frequentare una scuola molto buona, all’epoca in cui c’era ancora il re. Poi però è arrivato il comunismo e mia mamma con i suoi quattro fratelli e i suoi genitori hanno dovuto lasciare tutto e andare via, perché arrivavano i russi...
Hanno viaggiato in un treno affollato di gente e di soldati, ognuno con solo un piccolo bagaglio a testa, il resto l’avevano dovuto lasciare. E dire che a casa i miei avevano anche un pianoforte...
Con una valigia per mano, sono arrivati in una piccola città al centro del paese, in una regione molto bella che si chiama Transilvania, famosa anche per Dracula. Sono poi rimasti lì. Erano poveri. Ma poveri, poveri, perché davvero erano venuti via senza niente. Li hanno portati in una scuola vuota e all’inizio dormivano tutti per terra.
La mia mamma aveva frequentato prima una scuola cattolica, gestita dalle suore, dove aveva studiato in francese, poi era stata costretta a interrompere gli studi e dopo due-tre anni era riuscita a ricominciare. Il problema è che con l’arrivo del comunismo, le suore erano state cacciate e si erano rifugiate a Parigi, portandosi tutti i documenti. Così la mia mamma non aveva alcuna carta che testimoniasse gli studi che aveva compiuto; ha faticato molto per ottenere quei documenti.
I miei genitori erano persone colte, intelligenti, abbiamo sempre avuto in casa tanti libri; io ho cominciato a leggere fin da piccola, mi interessavo a tutto, leggevo tutto quello che mi capitava in mano. Ho potuto studiare...

Sì, mi sono laureata in una facoltà sulle telecomunicazioni e in seguito sono diventata dirigente di un ufficio postale. Era un buon lavoro, ma piuttosto impegnativo, di grande responsabilità, perché da noi -in parte succede ancora nei piccoli paesi- i postini portavano a casa le pensioni e gli stipendi. Nel frattempo mi ero anche sposata. Ho lavorato fino al 2010 e dopo sono andata in pensione.
Essendo stata abituata a lavorare senza orario (spesso mi portavo a casa il lavoro per non stare in ufficio fino a tardi e andavo avanti fino a mezzanotte), quando sono andata in pensione avevo ancora voglia di fare, mi sentivo ancora in gamba. Cioè, all’inizio ero molto felice, perché ero anche stanca di quel lavoro, però, dopo due mesi di riposo, ho cominciato a pensare a cosa potevo fare, perché non ero abituata a non lavorare. Stare in casa a fare le parole crociate o a leggere i tanti libri che avevo non era cosa per me. Mio marito era morto nel 2007, per cui ero vedova...
Ho avuto due figli, una femmina e un maschio. Mio figlio aveva aperto e avviato una piccola azienda in Romania, ma alla fine dell’anno si era reso conto che doveva pagare di tasse più dell’85% del guadagno. Così ha pensato che certo aveva da mangiare e da vestire, ma non sarebbe mai riuscito a mettere da parte nulla. Ha parlato con un amico e sono partiti per la Spagna, dove sono rimasti. Lui era già sposato; dopo nemmeno un anno la moglie lo ha raggiunto; hanno poi avuto un bambino.
Mia figlia vive in Romania e ha una figlia, che adesso è già una ragazza. Lavora in un’azienda molto grande che produce strumenti musicali. Lei parla benissimo l’inglese e si occupa delle spedizioni della merce in America.
Trovandomi senza nulla da fare, le ho chiesto se poteva trovare qualcosa per me. Quando mi ha chiesto cosa volessi fare, in quale ufficio desiderassi andare, le ho risposto che non volevo ruoli di responsabilità, che mi sarebbe piaciuto fare le pulizie. Non riusciva a crederci. Alla fine, parlando con mia sorella, mi è venuta l’idea di raggiungerla in Italia.
Mia sorella era già in Italia. Assisteva una signora. Lei mi ha un po’ scoraggiato rispetto all’idea di fare il suo stesso lavoro perché è molto duro. Ma io ero decisa: volevo provare, non riuscivo a stare senza fare nulla. E così, a gennaio 2011, sono arrivata in Italia. Prima sono stata da lei, nella casa dove viveva come badante, poi, dopo una settimana, ho trovato lavoro anch’io.
Per l’italiano appena mia sorella mi ha avvisato ho comprato dei libri e ho iniziato a studiarlo, almeno da riuscire, non dico a parlare, ma a comprendere un poco. Ero conten ...[continua]

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