Benedetto Terracini, nato nel 1931, già professore di epidemiologia dei tumori e di statistica medica (Università di Torino), è ora in pensione. Dalla fine degli anni Sessanta, attraverso le prime epidemie di tumori professionali (Ipca di Cirié, Acna di Cengio, Sia di Grugliasco), è stato un pioniere della ricerca in epidemiologia dei tumori in Italia. Premio John Goldsmith 2003 della International Society of Environmental Epidemiology, premio internazionale del Collegium Ramazzini 2014. Già direttore Scientifico di “Epidemiologia e Prevenzione” 2000-2010, continua a interessarsi di malattie da amianto e di tumori infantili. È molto attento al rapporto tra ricercatori e soggetti/oggetto della ricerca e alla comunicazione del rischio.

Lei è nato in piena epoca fascista...
Sono nato nel 1931, quindi avevo sette anni e mezzo quando vennero varate le leggi razziali.
Può sembrare paradossale, ma quelle leggi ebbero sui miei fratelli (più grandi) e su di me conseguenze buone, e non solo per averci portato dall’altra parte del mondo mentre in Europa divampava la Seconda guerra mondiale. Mio padre, professore di matematica, intendeva vivere con la sua famiglia in un paese libero, dove lui potesse lavorare e i suoi figli potessero frequentare la scuola pubblica. Ebbe la fortuna di avere un contratto nella scuola di matematica dell’Università di Tucuman, 1.300 chilometri (e 24 ore di treno) a nord di Buenos Aires. A Tucuman sono vissuto fino ai diciassette anni. Tra il 1940 e il 1942 ho frequentato la scuola primaria Bartolomé Mitre. In Argentina, la scuola elementare, che durava sette anni, a quei tempi (e credo anche adesso), era laica e buona, conseguenza di una strategia educativa decennale basata sulla lotta all’analfabetismo.
Nel mio ultimo viaggio a Tucuman, due anni fa, mia nipote Julia mi ha convinto a rientrare nella scuola. Dopo 75 anni ho assistito nuovamente alla cerimonia quotidiana dell’ammainabandiera al canto dell’inno nazionale. Il generale Bartolomé Mitre, oltre a tradurre in spagnolo parte della Divina Commedia, era stato presidente argentino nel 1862-68 ed è passato alla storia anche per il suo contributo alla conquista del desierto (leggi massacro delle tribù indigene).
Successivamente, ho completato gli studi superiori al Colegio Nacional di Tucuman. La formazione culturale mia e dei miei fratelli è stata quindi limitata rispetto a quella tradizionale dei licei italiani, ma certamente positiva. Accanto a una cultura italiana abbastanza superficiale, appresa in famiglia, i miei fratelli e io abbiamo imparato la letteratura, la storia, la tradizione e la costituzione argentina e abbiamo vissuto il “melting pot” di un paese fatto da immigranti da tutto il mondo (oltre a scarse superstiti voci degli abitanti pre-conquista). A parte la scuola e un bilinguismo appreso senza sforzo, è stata importante la familiarità con due società diverse (ora sono un po’ meno diverse).
Tra l’altro, del nazionalismo argentino, oltre agli aspetti fastidiosi, abbiamo afferrato quanto comprensibile sia l’insofferenza per l’infiltrazione del capitalismo e del potere nord americano (“yankee”, spagnolizzato in “yanqui”) e inglese in Sud America (a quei tempi le pecore dei Benetton non avevano ancora invaso la provincia del Chubut in Patagonia). In America Latina, la versione ironica della dottrina Monroe (1821) è “America per i (nord) americani”.
I legami nati a Tucuman ottant’anni fa sono rimasti per tutta la vita. Molti amici di allora non ci sono più, ma con i superstiti ci sentiamo ancora per telefono.
Alcuni amici, o i loro figli, sono stati assassinati all’epoca della dittatura militare argentina negli anni Settanta, quando noi eravamo già in Italia da tempo. Mia sorella all’epoca è stata molto attiva nell’aiutare amici a salvarsi uscendo dall’Argentina.
Quando siete rientrati in Italia?
Siamo rientrati nel 1948, quando le cose in Argentina cominciavano ad andare abbastanza male. Peron era stato eletto presidente nel 1946. Il peronismo non mi ha mai suscitato molta simpatia, ma devo ricordare la visita di Evita a Tucuman nel 1947: tenne un comizio molto partecipato. Era la prima volta che nelle piazze di questa città della provincia argentina si sentiva parlare di uguali diritti tra uomini e donne, di vacanze pagate, di diritto al posto di lavoro. Questo però non toglie nulla al fatto che Peron e sua moglie fossero corrotti, avessero simpatie fasciste, avessero accolto criminali gerarchi italian ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!