Il comune di Nembro è stato tra i più colpiti dal virus nel corso della prima ondata della pandemia. Può raccontarci di questo territorio?
Io sono originario di Gazzaniga, sono venuto qui nel ’98 e devo dire che mi sono subito innamorato di questa comunità così ricca di iniziative, con tanto associazionismo, tanto volontariato e soprattutto con una grande vivacità culturale. Basti un esempio: al teatro Modernissimo, ex Casa del Balilla, che abbiamo ristrutturato una decina di anni fa, nell’ultimo anno abbiamo fatto 133 eventi, un evento ogni tre giorni. Parliamo di dibattiti, concerti, piccoli spettacoli teatrali, presentazioni di libri.
Si tratta di un bellissimo auditorium, costruito con particolare attenzione alla musica non amplificata. Qui il ragionamento dell’amministrazione è sempre stato che, a prescindere dai costi di gestione, per noi l’importante era che venisse usato. Tant’è che a volte mi viene da sorridere perché nel corso delle giunte è tutto un concedere patrocini e usi gratuiti. Esisterebbero anche delle tariffe, ma credo non saranno più di dieci eventi all’anno quelli in cui qualcuno paga qualcosa. Ma va bene così. Nella nostra biblioteca facciamo cinquecento incontri all’anno, di tutti i generi, dalla presentazione del libro al decoupage agli incontri filosofici. Abbiamo persone che arrivano da fuori paese per questi dibattiti sui grandi temi della filosofia. Sinceramente non mi aspettavo che questo tipo di iniziative avessero tanta popolarità.
Quando mi chiedono perché così tanti contagiati a Nembro, al di là del fatto che qui il virus era entrato in ospedale, ecco, a volte mi domando se all’origine di questo non ci sia stata anche la nostra forte socialità. La piazza è sempre piena di gente; di prima mattina ci sono le mamme che portano i bambini a scuola e poi rimangono a chiacchierare e a bere il caffè. Verso le dieci cominciano ad apparire i pensionati... Nel pomeriggio ci sono i ragazzi e alla sera spesso si ballano le danze popolari.
Oggi si parla molto di resilienza. La riflessione che mi trovavo a condividere qualche settimana fa è che la resilienza non è una cosa che tiri fuori nel momento in cui c’è bisogno, è l’effetto della rete di relazioni che hai sedimentato negli anni precedenti; una comunità non è un organismo compatto, è costituita da tante comunità, tanti sottoinsiemi che formano un tessuto di dialogo, di confronto... Noi per esempio, pur nella distinzione di funzioni e ruoli, ci confrontiamo costantemente con l’oratorio guidato da un bravissimo prete, don Matteo; abbiamo dei tavoli aperti con i centri di primo ascolto della Caritas. Con queste e altre realtà ci incontriamo quasi settimanalmente.
Parliamo di una modalità che abbiamo consolidato negli anni. Ecco, credo che questa tradizione di socialità e condivisione sia stata comunque di conforto davanti alle fragilità che ognuno di noi aveva. È stata la forza dei fragili, non quella degli eroi, a permetterci di resistere allo sconforto, al senso di solitudine e di abbandono che tante famiglie hanno vissuto nell’isolamento e nel disorientamento di questi mesi. Nel momento della difficoltà, l’esperienza di questi anni ci ha aiutato molto, per questo non mi stanco di ribadire l’importanza di tessere pazientemente i fili delle relazioni...
Diceva che fin dai primi giorni della pandemia la risposta della sua comunità è stata sorprendente.
È così. All’inizio abbiamo perfino avuto difficoltà a gestire le persone che venivano a chiederci di fare qualcosa, perché se sono una decina è una cosa, ma se sono novanta... Insomma, è sempre problematico organizzare il lavoro di chi si rende disponibile.
Tra l’altro qualcuno ha fatto delle cose veramente notevoli, anche assumendosi dei rischi, per esempio offrendosi di portare un paziente dializzato e positivo a fare la dialisi con la propria auto. Perché non lo faceva nessuno in quel momento, perché la Croce rossa non rispondeva, le strutture sanitarie non rispondevano...
Qui poi avevamo l’anagrafe kaputt: quattro dipendenti tutte positive, di cui una morta in due giorni. Un disastro. Abbiamo chiesto anche alla Prefettura, che ci ha detto di organizzarci... Ebbene, un’altra dipendente comunale che lavorava in biblioteca si è presentata e ha detto: “Vengo io”. Si è messa lì e ha imparato un mestiere, ...[continua]
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