In questi ultimi anni, nell’ambito dei tuoi studi, ti sei occupata di ricostruire la scena del parto nel Medioevo, puoi raccontare?
Si tratta di un’operazione per nulla semplice, specialmente per il periodo medievale, perché non abbiamo testimonianze, salvo un paio, in particolare una del tardo Medioevo che viene dalla Spagna. Però possiamo affidarci a una serie di testi medici, giuridici e agiografici; questi ultimi sono importantissimi. Nei racconti dei miracoli legati al parto troviamo infatti una descrizione di quello che avveniva, di come si muovevano le ostetriche e in generale le donne. Mettendo assieme tutte queste fonti, comprese quelle mediche (che però tendono a essere un po’ ripetitive e in più sono scritte da uomini), riusciamo bene o male a ricostruire la scena del parto. Questo in riferimento in particolare al periodo medievale e alla prima Età moderna. Per epoche più vicine a noi è tutto più semplice: nel primo Seicento, per esempio, c’è un’ostetrica, Louise Bourgeois, che ha scritto un bellissimo trattato di ostetricia e ha raccontato la scena del parto. Ma il Medioevo è davvero un periodo non facile.
Era comunque una scena popolata da donne...
La scena del parto è affollata di donne: non solo quelle di casa, per così dire, ma anche le vicine, le conoscenti... La malattia, in quel periodo, ha un aspetto corale: non si viveva in modo individuale, c’era sempre la partecipazione dei vicini, dei parenti, che seguivano, che dicevano la loro, anche sulla diagnosi.
Gli uomini tendenzialmente stavano fuori, magari partecipavano con le preghiere, chiedendo la grazia al santo; a volte il sacerdote era presente per confessare la partoriente. Erano infatti molto frequenti le morti a causa del parto. A volte il religioso veniva chiamato anche per recitare dei carmina. Occorre ricordare che a quell’epoca superstizione, magia e religione non di rado si sommavano o confluivano l’una nelle altre.
Nei carmina si faceva spesso riferimento al parto della Vergine perché era l’unica ad aver partorito senza dolore: la si invocava con una serie di parole da recitare accanto alla partoriente; altre sante di cui si chiedeva l’aiuto erano Sant’Anna, che aveva partorito in tarda età, e Santa Elisabetta, che pareva essere sterile; tutte e tre avevano avuto dei parti felici. Teniamo presente che si trattava di riti ritenuti “efficaci” e non di atti di superstizione. Tant’è che alcuni di questi carmina entrano anche nei testi medici.
L’altra nota interessante è che ci si riferiva spesso al bambino quasi fosse un’entità, un demone...
Certe formule ricordano gli atti di esorcismo...
In effetti è così: si chiedeva a questo bambino di venire fuori, di uscire -la formula era “veni foras”- e di non uccidere la madre. All’epoca non si sapeva che l’utero aveva la sua peristalsi, si pensava che fosse il bimbo che a un certo punto rompeva le acque e usciva. Per questo lo si pregava di fare presto, si usava proprio l’espressione: “Vieni fuori”, la stessa che Cristo aveva adoperato rivolgendosi a Lazzaro, colui che era resuscitato dai morti. Si può dire che si ordinasse al bambino di uscire come se questi rappresentasse un’entità estranea alla stregua di uno spirito maligno o meglio di una malattia da cui ci si dovesse “liberare”.
Non di rado si chiamava il neonato proprio Lazzaro. Quindi l’utero era assimilato a una tomba; in effetti nascita e morte sono fenomeni antropologicamente vicini: il bambino esce con la testa, il morto doveva uscire con i piedi dall’uscio; la vagina viene chiamata “l’uscio dell’utero”; ci sono proprio delle connessioni fortissime che ritroviamo nei carmina.
Si pregava anche Santa Margherita, la vergine di Antiochia, inghiottita dal demonio che le era apparso sotto forma di un dragone. Lei si era salvata squarciandogli il ventre, da cui era uscita illesa. Per questo motivo veniva invocata per ottenere un parto facile.
Attorno al XIII secolo, sbocciano molte versioni della vita della santa in cui si racconta che lei si rivolge a Dio e dice che si farà tramite dell’aiuto divino per tutta una serie di calamità naturali, tra cui quella del parto. Allora chiunque si appellerà a lei, avrà la grazia ...[continua]
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