Luca Fonnesu è professore ordinario di Filosofia morale presso il Dipartimento di Studi umanistici dell’Università degli Studi di Pavia. Tra le sue pubblicazioni: Storia dell’etica contemporanea. Da Kant alla filosofia analitica (Carocci, 2006) e Per una moralità concreta. Studi sulla filosofia classica tedesca (Il Mulino, 2010).
 
Vorrei parlare di filosofia morale e in particolare di quanta fortuna gode oggi nella filosofia analitica contemporanea il cosiddetto realismo morale.
Il realismo morale è da sempre una posizione forte, perché probabilmente corrisponde almeno in parte al senso comune e al linguaggio comune. Quando pronunciamo un giudizio morale, di solito sembra che stiamo parlando di qualcosa che c’è; quando pensiamo che un’azione sia sbagliata noi tendiamo a pensare, almeno in modo preriflessivo, che sia in qualche modo sbagliata. Questo è il punto di vista immediato, apparentemente depositato nel linguaggio morale e nell’attitudine ordinaria verso le questioni morali, però ci sono controesempi curiosi… Io comincio sempre i miei corsi di Filosofia morale con la domanda: “Che cos’è la moralità?”. Beh, la stragrande maggioranza degli studenti inizialmente risponde con una posizione che non è di realismo morale, bensì, in un senso molto lato e impreciso, di tipo relativistico. Questo punto di partenza ha infatti una curiosa divaricazione: si pensa che ciò che consideriamo moralmente giusto o sbagliato dipenda dal contesto, perché in società diverse si considerano positive o negative azioni diverse; se però si contempla la possibilità, ad esempio, di torturare inutilmente i bambini, lo sguardo resta  sospeso e nessuno accetta volentieri l’ipotesi di dover dialogare con qualcuno con cui dovrebbe ammettere che in fondo la posizione per cui non si possono torturare inutilmente i bambini non ha nulla a che fare con la realtà.
Il pensiero morale ordinario oscilla dunque tra la convinzione che certi principi non possano essere messi in discussione e la consapevolezza critica che l’esistenza di diversità di opinioni e di giudizi dal punto di vista morale sia difficilmente contestabile. Non ho mai sentito nessuno che rispondesse: “Perché non bisognerebbe torturare inutilmente i bambini?”, che desse cioè una risposta relativistica a questo tipo di interrogazione. Mi verrebbe quasi da dire che in linea di principio siamo tutti relativisti, ma solo finché si parla di simpatiche usanze folcloriche delle popolazioni lontane; allora noi, fingendoci antropologi, apprezziamo questa diversità. Questo va benissimo, naturalmente, se uno accetta l’idea che nel tempo e nello spazio ci siano posizioni morali diverse; ma che siano ugualmente valide non è la stessa cosa.
Poi uno deve accettare anche la domanda che si ponevano i filosofi anglosassoni dopo il ’45 quando dovevano dialogare ipoteticamente con il nazista. Tu cioè devi accettare l’idea che non hai argomenti conclusivi per dimostrare al nazista che non è lecito perseguitare una persona in nome del gruppo etnico nel quale è nata. È il gioco del “perché”: perché non devo fare male a mia sorella? Perché sente dolore. E perché non deve sentire dolore se io mi diverto a farle sentire dolore? Perché tu ti diverti, ma per lei è una cosa negativa. E perché non deve sentire una cosa negativa?
A un certo punto questo gioco del perché si interrompe, a meno che non abbiamo delle ragioni conclusive, che qualcuno pensa che si abbiano (un certo tipo di realista morale lo potrebbe pensare), per cui, dato che la natura umana è fatta in un certo modo, certe azioni sono obbligatorie, certe azioni sono vietate, certe azioni sono lecite, e questo sta in qualche modo inscritto nella natura umana. Questo è un classico problema della tradizione filosofica, a partire dall’antico principio secundum naturam vivere di marca stoica, quello che si è più prestato storicamente e filosoficamente agli usi più diversi, nel senso che si può sostenere di seguire la natura in tanti modi.
In un libro molto interessante del filosofo Simone Pollo, La morale della natura, si parte chiedendo che cosa abbiano in comune un militante gay, un militante anti-Ogm e un conservatore contrario al matrimonio tra persone dello stesso sesso. Tre persone che dal punto di vista etico-politico collocheremmo su sponde diverse hanno in comune una cosa: tutte si appellano alla natura. Il gay dice che vuole seguire la sua natura, il che potrebbe essere altamente contestabile: anche l’uomo che picchia la do ...[continua]

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