Giovanni Creton, radioterapista oncologo, è presidente dell’associazione Ryder Italia Onlus.

Puoi raccontarci la storia dell’associazione Ryder Italia ?
L’Associazione Ryder Italia è nata per un motivo preciso: carenza dei servizi sul territorio. L’oncologia nell’84 era alle prime armi, non aveva praticamente alcuna modalità terapeutica consolidata; la chemioterapia era inesistente. Nel pubblico c’era un’oncologia strutturata, ma con pochissimi farmaci a disposizione, molti in fase sperimentale, e senza il supporto della radioterapia oncologica. Qui a Roma c’era un solo centro di radioterapia, privato e convenzionato, diretto dal Prof. Carlo Nervi. In quel periodo, Vittorio Boffo, un amico medico, mi disse che questo centro privato cercava medici da mandare in America, così li ho contattati... All’epoca il Centro  aveva il primo acceleratore che c’era in Italia: una macchina gestita da due medici addestrati da un radioterapista americano molto famoso, che aveva trascorso due anni sabbatici in Italia.
Bisogna ricordare che allora, per i pazienti con tumore, l’unica reale terapia a disposizione era la radioterapia, che funzionava molto bene anche dal punto di vista palliativo. Infatti, io come radioterapista mi prendevo cura di tutti i pazienti negli ultimi mesi di vita, perché la radioterapia era ed è tuttora la migliore arma per levare il dolore, tant’è che arrivavano malati da tutta Italia.
Molti dei pazienti che vedevo in clinica mi chiedevano di non essere abbandonati nelle ultime settimane di vita, così ho cominciato ad andare a visitare queste persone a casa, solo che dopo un certo tempo il carico di lavoro divenne enorme.
Nel frattempo in Gran Bretagna, Cicely Saunders, la famosa dottoressa che ha iniziato le cure palliative, stava aprendo il primo hospice a Londra.
In fondo quello che cercavo di fare era copiare il servizio che gli inglesi offrivano a domicilio.
In quel periodo avvenne l’incontro con Sue Ryder e il marito Leonard Cheshire, due persone molto famose in Inghilterra per le loro attività umanitarie; lei era stata nominata Baronessa e ammessa alla Camera dei Lords per motivi umanitari. La storia del marito è pure più appassionante. Era stato un grande pilota della Battaglia d’Inghilterra, uno dei piloti più decorati della Seconda guerra mondiale. Lui stesso raccontava che nel corso della battaglia la vita media dei suoi piloti era di 18 giorni. Ebbene, finita la guerra, Leonard andò in crisi: quando vivi in un contesto dove il coinvolgimento emotivo del tuo lavoro è così forte, è difficile rientrare nella normalità. Era ormai un eroe nazionale, ma non riusciva a trovare uno sbocco lavorativo, così decise di attivare organizzazioni il cui scopo era aiutare gli altri.
Dunque, entrambi in quegli anni decisero di aprire un servizio anche in Italia pensando di avere a che fare con un paese non diverso da quelli nel Terzo Mondo. Profondamente cattolici, attivarono a Roma un comitato di quaranta persone, dove io venni chiamato per puro caso da un’amica psichiatra. Loro pensavano di acquistare una palazzina, da loro chiamata “Home”,  dove ricoverare la povera gente, non sapevano che i costi non erano quelli africani... comunque, dopo un anno ancora non si era fatto nulla e loro erano pronti ad andarsene. A quel punto, mi rivolsi a una loro efficiente segretaria irlandese, la Signora Aurigemma, e le dissi: “Se Lady Ryder vuole veramente fare un progetto mi ci faccia parlare”. Così ci fu questo incontro in cui le proposi: “Il progetto se vuole io glielo faccio, però lei mi riduce il comitato da quaranta a cinque persone, il presidente lo sceglie lei e io mi occupo della parte assistenziale”.
Fino a oggi l’associazione si è mantenuta solo con donazioni?
Tenete conto che noi siamo un gruppo molto piccolo, seguiamo un centinaio di persone; da due anni abbiamo finalmente la convenzione con la Asl (purtroppo pagata male). Comunque ogni anno riceviamo come donazioni tra i cinquecento e i seicentomila euro. Tutti quelli che studiano i nostri dati lo trovano incredibile. Quando il primo anno uscirono i dati del cinque per mille eravamo tra i primi ottanta in Italia. Nel centro-sud siamo tra quelli che ricevono di più. È un bel riscontro perché il cinque per mille è un meraviglioso strumento per valutare se le associazioni fanno qualcosa di utile per la gente comune.
In fondo i numeri sono abbastanza comprensibili se pensi al riscontro che ha avuto il referendum per l’eutanasia qualche ...[continua]

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