Piero Bevilacqua è ordinario di Storia contemporanea all’Università di Bari. Nel 1986 ha fondato la rivista Meridiana di cui è direttore. Nel 1986 ha pubblicato per Donzelli Tra natura e storia. Ambiente, economie, risorse in Italia.

Lei ha sempre denunciato la strana, profonda, gigantesca rimozione della cultura italiana nei confronti della storia del suo territorio...
Dopo l’Olanda, il cui territorio, come si sa, viene costantemente costruito, strappato alle acque, l’Italia è, tra i paesi europei, quello più plasmato dalle attività umane. Tutte le civiltà che si sono insediate e sviluppate sulla penisola, dai Greci nell’Italia meridionale agli Etruschi, ai Romani nella valle del Tevere, hanno dovuto bonificare profondamente il territorio. Ancora oggi la fotografia aerea ci rivela opere di bonifica che neppure gli storici avevano rilevato, opere di canalizzazione di cui si ignorano gli autori, gli ingegneri. Ogni popolazione ha operato incessantemente delle modificazioni sull’habitat naturale per rendere possibile l’abitabilità e le attività produttive, ovviamente soprattutto agricole. Dopo le invasioni barbariche questo lavoro continuo, molecolare è proseguito soprattutto con i monaci benedettini prevalentemente in valle padana, che era in buona parte allagata. Un tecnico nell’800 ricordava che, secondo alcuni pareri di vecchi idraulici, il Po come fiume unitario è il risultato della costruzione degli uomini perché esso dilagava nella pianura padana in maniera disordinata e con molteplici bracci. Sono stati gli uomini a rimettere a posto il corso e a dargli una corrente unitaria. I monaci benedettini sono stati i protagonisti di quest’opera di recupero progressivo delle terre strappandole alle acque, ma questa attività è proseguita anche con gli stati pre-unitari, e poi con lo stato unitario, fino a questo dopoguerra. Ancora oggi ci sono molte aree della pianura padana abitabili e coltivabili grazie alle macchine idrovore che pompano diuturnamente acqua e la riversano in mare, altrimenti le terre che sono ad altimetria negativa, al di sotto del livello del mare, cioè, riprecipiterebbero in uno stato paludoso.
Ecco, tutta questa straordinaria opera di modificazione del nostro habitat è del tutto ignorata. Si ignorano le stesse realizzazioni più recenti, e questo lo dico anche per invitare ad una considerazione più profonda della nostra storia, e per evitare, sull’onda di polemiche politiche e di giornalismo facilone, dei giudizi liquidatori anche nei confronti del nostro recente passato. Per esempio, non mi sembra giusto condannare tutta la storia repubblicana sulla base delle involuzioni civili e politiche che noi abbiamo registrato in questo ultimo quindicennio.
Un’opera importantissima realizzata in questo dopoguerra è quella che io chiamo la bonifica del clima nell’Italia meridionale. Ora, che cos’è la bonifica del clima? Il punto debole dell’agricoltura meridionale è stato, fino ad epoca recente, la siccità primaverile estiva: l’assenza di acqua piovana in quei momenti dell’anno impediva all’agricoltura meridionale, soprattutto ai seminativi, di avere le rese elevate di altri paesi con climi differenti e con maggiore piovosità stagionale. Ebbene, grazie ai canali artificiali irrigui è stato possibile modificare questo deficit del clima meridionale, portando acqua da grandi invasi montani, talora lontanissimi, dove c’erano vasti impluvi. Così, grazie alla costruzione di questi canali, l’agricoltura meridionale ha potuto superare il suo deficit naturale più grave e i prodotti ortofrutticoli del nostro mezzogiorno hanno potuto primeggiare nel mercato nazionale e in quello internazionale. C’è stato un momento, credo nel 90-91, in cui l’Italia era per questi prodotti il maggiore esportatore del mondo, il sud vi aveva una parte cospicua, credo con il 57% sul volume nazionale.
Lei pensa che tale rimozione impedisca di prendere lezioni utili dal passato?
Esattamente. Tutta la nostra storia, economica, sociale, politica, culturale dipende dall’oscuro lavorio delle popolazioni, dei tecnici, delle classi dirigenti, delle amministrazioni comunali, provinciali per modificare i connotati del nostro territorio, un territorio geologicamente giovane, in movimento, che ha dunque dovuto essere continuamente fronteggiato, tenuto a bada, governato nelle sue dinamiche spontanee, tendenzialmente nemiche della presenza dell’uomo. Basterebbe considerare cosa comporta dimenticare il passato del nostro territo ...[continua]

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