Ahmad Rafat, italo-iraniano, giornalista, scrittore, documentarista, oltre a collaborare con le maggiori testate europee, ha lavorato presso la World News Link (Wnl) e l’agenzia italiana AdnKronos International (Aki). In Italia sono stati pubblicati
L’ultima primavera. La lotta per la libertà di informazione in Iran (Polistampa, 2006), una raccolta di scritti di giornalisti iraniani da lui curata, e Iran, la rivoluzione online. L’onda verde travolge il paese degli ayatollah (Cult, 2009).

Partiamo dalla situazione attuale e dal carattere di queste proteste, che hanno dei tratti nuovi rispetto al passato...
Le proteste sono iniziate il 16 settembre in seguito all’arresto e poi alla morte, nel corso della detenzione, di una ragazza curda che era venuta a Teheran a far visita ai parenti, Mahsa Amini. Preciso che la ragazza non girava senza il velo (come molte giovani iraniane osano fare), semplicemente aveva qualche ciocca di capelli non coperta. La sua morte lì per lì non ha fatto notizia. La rivolta è scoppiata durante la cerimonia di sepoltura nella sua città d’origine, Saqqez.
Probabilmente la rapida diffusione della protesta si deve alla giornalista di un periodico non governativo di Teheran, che ha fatto una cronaca del funerale. Ebbene, quando il pezzo è uscito, è esplosa questa ribellione popolare, che dura tuttora. Anche in questi giorni, dopo oltre cinque mesi, ci sono state manifestazioni in una decina di città. La giornalista in questione è stata nel frattempo arrestata ed è ancora in carcere. Qualche giorno fa hanno arrestato pure la sorella, anche lei giornalista, perché aveva scritto un pezzo sulla sua situazione.
Allora, la prima differenza tra questa rivolta e quelle del passato è l’estensione geografica. Questa volta la gente è scesa per le strade in oltre duecento città. In passato era stato interessato soprattutto l’Iran centrale, le grandi città. In questi mesi abbiamo saputo di proteste in cittadine che io non avevo neanche mai sentito nominare.
La seconda peculiarità è una sorta di trasversalità sul piano sociale. Per esempio il Movimento verde aveva visto la partecipazione prevalentemente della classe media delle grandi città. Gli scioperi del 2020, per l’aumento del prezzo del petrolio, avevano visto in strada i ceti meno abbienti.
La ribellione di queste settimane comprende tutti: ricchi, poveri, giovani, vecchi, di etnia persiana, curda, belucia, turca, turcomanna…
Un altro elemento che differenzia questa rivolta è che, mentre nelle altre manifestazioni la gente chiedeva qualcosa al governo, di abbassare il prezzo del petrolio, di fare qualcosa contro la disoccupazione e l’inflazione, ecc., in questi cinque mesi nessuno in nessuna piazza ha mai chiesto nulla al governo.
L’unica cosa che chiedono è che se ne vadano. È come se la gente non riconoscesse più il governo come sua controparte. Dice solo: “Andatevene”, “Morte a Khamenei, morte alla Repubblica islamica”. Questi sono gli slogan che accomunano tutte le manifestazioni. E poi c’è il fatto che continua da cinque mesi, che non sono uno scherzo. A oggi, ci sono già stati oltre seicento morti negli scontri di piazza, secondo dati ufficiali, e diciassettemila arresti (alcune fonti parlano di oltre ventimila).
Un altro fattore molto interessante è che si tratta di una rivolta senza leader. Nessuno dei partiti dell’opposizione ha lanciato appelli. Io sono in contatto con alcuni giovani di Teheran e loro sono organizzati a livello di quartiere: gruppi da cinque a sette giovani, nessuno dei quali conosce più di uno dei membri di un altro comitato di quartiere.
Questa rivolta ha presto mobilitato anche gli iraniani all’estero. Parliamo di più di sei milioni di persone; solo a Los Angeles gli iraniani sono un milione, perciò incidono. Molti ricchi imprenditori della Silicon Valley sono iraniani. In Italia, in tante città, ci sono manifestazioni tutti i venerdì, sabato e domenica, e così a Londra, Parigi... La voce degli iraniani è arrivata nei palazzi del potere dei paesi occidentali. È emblematica la risonanza che ha avuto la canzone di questo giovane iraniano, un cantante sconosciuto, che ha semplicemente messo assieme i tweet di protesta. Ecco, questa ballata sta facendo il giro del mondo ed è già stata tradotta e cantata in 34 lingue. In Argentina hanno interrotto il concerto dei Coldplay allo stadio di Buenos Aires, presenti ottantamila persone, e fatto salire sul palco l’attrice Golshifteh Farahani, dopodiché l’hanno accompagnata mentre cantava quello che è ormai diventato un inno, Baraye, che significa “per”. È stata anche premiata ai Grammy, gli oscar della musica, come miglior canzone per il cambiamento sociale e il premio gliel’ha consegnato Jill Biden, la moglie del presidente. Sinceramente l’ultimo ricordo che ho di una partecipazione popolare a livello internazionale a questi livelli è in occasione del golpe di Pinochet contro Allende in Cile.
È diventata la canzone simbolo della protesta. Ha un testo molto bello.
L’inno “donna, vita e libertà” dice tutto, soprattutto in una società mediorientale dove le donne sono cittadine di seconda classe. Ma poi c’è la vita: questi giovani in Iran lottano per vivere la loro vita liberamente, senza i limiti e le minacce della Repubblica islamica
In questi mesi abbiamo visto cosa intendono questi ragazzi per “vita”, qualcosa anche di molto banale. Qualche tempo fa due giovani hanno postato su Instagram un video in cui ballavano assieme in piazza Libertà a Teheran: sono stati condannati a cinque anni a testa. L’altro giorno mi hanno mandato un video registrato in uno dei più grandi centri commerciali di Teheran. Bene, non ho visto una donna col velo! Un’amica commentava: “Prima, nei supermercati, se una donna portava male il velo o le era sceso sulle spalle, la gente si girava a guardare, adesso si gira se porta il velo!”. La gente vuole vivere la propria vita, tutto qui. E poi libertà: l’Iran è un paese in cui la gente è privata della propria libertà.
Dicevi che lo slogan viene dal Kurdistan.
Io la prima volta l’ho sentito tre-quattro anni fa quando è uscito il film francese “Le figlie del sole”, con l’attrice iraniana Golshifteh Farahani che interpretava la comandante delle ragazze peshmerga curde impegnate in Iraq nella lotta contro Daesh. In un discorso di incoraggiamento alle sue truppe, alla fine pronuncia proprio lo slogan “Jin, jiyan, azadi”, donna, vita libertà.
Il fatto che sia stata proprio la morte di una ragazza curdo-iraniana ad aver dato il via alla rivoluzione è una cosa molto significativa. Poi è forse la prima rivoluzione al femminile. Sono le donne che stanno portando avanti queste proteste. Anche gli uomini sono scesi in strada e non in difesa delle donne, ma in difesa dei principi per cui queste donne lottano.
Ha colpito anche l’età giovanissima dei molti ragazzini che sono scesi in strada, così come dà da pensare la nostalgia dei più giovani per i Pahlavi. Puoi raccontare?
Anche alcune scuole elementari sono scese in sciopero! Questo è qualcosa che ha sorpreso anche noi. Tra i seicento manifestanti uccisi che citavo, 38 avevano meno di 18 anni. Tra gli arrestati parliamo di centinaia di persone. I giovani sono quelli più attivi sui social media: in questi anni hanno ben visto come vivono i loro coetanei altrove e vogliono godere di quella stessa libertà. I social media hanno un ruolo determinante in questa lotta.
Per quanto riguarda la nostalgia per i Pahlavi, va detto che una persona che non ha vissuto in quell’epoca e non ha una conoscenza politica di quel regime, è portata a fare un paragone con quel passato. D’altra parte, perfino alcuni leader della Repubblica islamica che oggi dissentono ammettono che ai tempi di Pahlavi si stava meglio. Questo l’ha detto per esempio il leader religioso Karroubi, che durante il Movimento verde era uno dei candidati alle elezioni; in un’intervista che avevo tradotto per il “Corriere della Sera”, già diversi anni fa, diceva che il carcere ai tempi di Pahlavi era molto migliore rispetto alla sua detenzione dopo il Movimento verde. E parlo di uno che ha fatto la rivoluzione, di un religioso.
D’altra parte ho amici che, passando davanti alle macerie dei locali della Teheran pre-rivoluzione, si trovavano a raccontare ai figli: “Ah, quando ero giovane questa era una caffetteria, qui ho conosciuto tua madre e l’ho rimorchiata…”, cose oggi impensabili!
Pochi invece parlano della mancanza, all’epoca, della libertà politica. Però è indubbio che le libertà personali erano salvaguardate. Di questo sono testimone. Sono vissuto in Iran fino a 18 anni e di come portavo i capelli o di come si vestiva mia sorella, al regime non gliene importava niente. Mia sorella andava in giro con le minigonne, io con i capelli lunghi; ascoltavo musica occidentale e non correvo alcun rischio; vedevo anche i film occidentali, cosa che oggi è proibita: li devi acquistare al mercato nero. Questo per dire che una sorta di nostalgia è comprensibile.
Poi c’è la figura personale del figlio dello Scià, Reza Pahlavi, una persona cresciuta in Occidente, come tutti i figli di quella generazione. Lui ha come riferimento la monarchia spagnola, quella che ha traghettato la Spagna dalla dittatura di Franco alla democrazia. Oggi vive negli Stati Uniti, conduce la vita di un normale cittadino benestante. Mi ricordo tanti anni fa che a un appuntamento arrivò tardi perché portava le figlie a scuola personalmente, non aveva l’autista...
Credo che in questa nostalgia per il passato abbia inciso molto anche la sua figura. Ripeto: sotto i Pahlavi c’erano le libertà personali, altro discorso sono quelle politiche. D’altra parte oggi quello che le persone chiedono è di essere libere di vivere come desiderano. E questo in effetti era possibile prima della rivoluzione islamica. Le stesse minoranze religiose, ai tempi dello scià, erano più libere. All’epoca nessuno ti chiedeva se eri scita, sunnita, musulmano; io a scuola avevo compagni di tante fedi, di alcuni neanche sapevo l’appartenenza. Anche perché i cognomi degli ebrei iraniani sono stati persianizzati; per esempio, Coen, in persiano è stato tradotto in Koan, che vuol dire antico.
Se non conosci la storia della comunità ebraica non puoi sapere che quella persona è ebrea. Io infatti avevo un amico con questo cognome e ho saputo che era ebreo solo quando è morto suo padre perché la classe è andata ai funerali in sinagoga anziché in moschea.
È per queste ragioni che oggi soprattutto i più giovani guardano al passato.
Per il futuro che prospettive ci sono dal punto di vista politico?
L’opposizione iraniana è molto variegata: va dalla destra post-fascista alla sinistra radicale, con tutti i partiti di centro, i monarchici, i repubblicani, ecc. Non esiste un’opposizione unitaria o che parli con una sola voce. Le idee sul futuro di ciascuno di questi partiti politici sono diverse.
Diciamo che ci sono tre-quattro punti fermi, il rispetto dei diritti umani, un governo laico, fondato sulla separazione della religione dallo stato, libertà politiche, libertà d’espressione, eccetera.
Dopodiché, sul piano economico, sociale, politico, ognuno ha un programma proprio, diverso dagli altri.
Certo il regime si è molto indebolito. Cosa può succedere adesso? Possono fare delle correzioni?
I riformisti in Iran hanno avuto pure la maggioranza ai tempi di Khatami, al parlamento, al governo, e hanno fallito. Questo regime non è riformabile. Primo perché su alcune cose non può cambiare le leggi, può al limite allentare un po’ la repressione rispetto al modo di vivere della gente, ma, ad esempio, non è immaginabile che gli Ayatollah tolgano l’obbligo di portare il velo.
Va aggiunto che c’è una corruzione pazzesca. È un paese dove la corruzione ha distrutto l’economia. L’Iran è uno dei paesi più ricchi del mondo, il secondo per riserve del gas, dopo la Russia. Bene, la gente oggi in Iran per comprare il gas per riscaldarsi deve fare sei-sette ore di fila… l’altro giorno è morta una donna anziana.
Cosa succederà? All’interno dell’establishment mi sembra sia in atto un processo di cedimento strutturale. Molti hanno capito che questo sistema non regge più, perciò cercano di prendere le distanze per garantirsi un futuro. In Spagna in dieci giorni una quarantina di donne iraniane hanno comprato case a un prezzo superiore ai cinquecentomila euro perché, secondo la legge spagnola, questo ti concede la residenza permanente, una specie di green card per te e tutta la tua famiglia. Pare che tra le case vendute in Turchia nell’ultimo anno il record lo detengano gli iraniani, seguiti dai russi.
Questo regime sta collassando. Tutti sperano che questo passaggio avvenga senza ulteriori violenze. Prevedere come finisce una dittatura è sempre un’impresa molto difficile. Il regime dello scià era la quinta potenza militare del mondo ed è crollato in sei mesi! Era pure un paese con un’economia stabile. All’epoca, un insegnante iraniano del servizio pubblico riusciva a venire due settimane in vacanza in Europa, a Roma, e a fare acquisti in negozi di quasi lusso. Cosa che un insegnante italiano non si poteva permettere. Eppure, ripeto, in pochi mesi è finito tutto.
Raccontavi che i basiji, la polizia morale, vengono boicottati dai commercianti e dai vicini quando rientrano nei loro quartieri. Cosa sta succedendo?
Oramai ogni giorno su internet compaiono nome e indirizzo di casa di un basij, di un poliziotto, di una guardia della rivoluzione. Personalmente è una cosa che spero non si diffonda. Nel corso del primo mese di questa rivolta, quando ci sono stati molti morti, sui rami degli alberi di molte città sono comparsi pezzi di carta con scritto: “Questo è prenotato per tizio, caio, ecc.”.
Ebbene, se tu sei un basij e vivi a Teheran o Esfahan, città grandi, la tua famiglia può andare a fare la spesa in un altro quartiere dove nessuno ti conosce. Se però stai in un piccola città o in un piccolo centro, tutti conoscono tutti e questo inizia ad avere un peso.
Tanto più che quando queste persone vanno in strada a picchiare la gente, può capitar loro di trovarsi di fronte un parente, magari un cugino o il figlio di un fratello o una cognata. Allora quello che sta succedendo è che nei paesi i negozianti sanno che quella persona fa il basij e molti non gli vendono più le cose. Alcune attività commerciali sono state chiuse per questo. A chi si è rifiutato di vendere merce a un basij di una certa importanza è stata ritirata la licenza. Se volete, è una forma di lotta pacifica. Anche queste azioni si stanno diffondendo.
I basiji poi dipendono dalle guardie della Rivoluzione; sono nati durante la guerra Iran-Iraq, erano volontari che partivano per la guerra. Ecco, pare che oltre 17% di loro non si presenti più alle chiamate. E non è che di punto in bianco siano diventati degli oppositori, semplicemente hanno paura della gente, dei vicini.
Dell’Iran si è sempre sentito che molta gente conduceva una sorta di doppia vita: adozione di costumi occidentali nel privato, per cui in casa si beve vino e si sta senza velo, e invece adattamento alle norme nel contesto pubblico. Cos’è successo?
È successo che i giovani hanno detto basta. Voglio raccontare un aneddoto che riguarda la mia famiglia. Prima di emigrare negli Stati Uniti, un giorno mio fratello mi chiama e mi dice: “Mi serve un visto per l’Italia per Shirin, subito!”. Sono andato alla Farnesina e sono riuscito a ottenere quello che serviva. Cos’era successo? Ebbene, mia nipote era al primo anno dell’università. Quella mattina la macchina non le partiva, mio fratello l’ha accompagnata e, finite le lezioni, un ragazzo del quartiere che la conosceva di vista le ha offerto un passaggio; la cosiddetta polizia morale (che poi sono reparti della polizia normale che si occupano della morale della società) ha fermato la macchina e ha chiesto: “Siete sposati, siete parenti, siete fidanzati?”. Dopodiché li hanno portati nello stesso ufficio dove hanno portato Mahsa Amini. Sono stati entrambi condannati a trenta o quaranta frustate.
Allora, è molto semplice: questi giovani non sono più disposti a vivere nel terrore. Dopodiché, è vero, anche mio fratello era uno che a casa beveva tranquillamente e fuori ovviamente no. All’inizio, nei primi anni della Rivoluzione, quando facevano controlli nelle case, la vodka la metteva nel porta ghiaccio, nel freezer; e poi faceva il vino a casa, una schifezza indegna! Ricordo che una volta aveva regalato una bottiglia a un diplomatico italiano ed era una cosa imbevibile, non ci si poteva fare neanche l’aceto…
Il fatto è che le nuove generazioni non sono più disposte a fare questa doppia vita, vogliono vivere alla luce del sole. È semplice: se i più anziani si erano in qualche modo abituati, i giovani hanno detto di no.
Dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, è in atto un riassestamento del contesto internazionale.
L’Iran è uno dei pochi paesi che stanno a fianco dei russi.
Eppure sappiamo che storicamente non c’è né grande simpatia né fiducia degli iraniani verso la Russia...
Questo discorso vale per gli iraniani, ma non per il regime; in questi anni i servizi iraniani sono stati ristrutturati dall’Fsb, l’ex Kgb, e oggi stanno insieme in Russia, in Siria... Non dobbiamo poi dimenticare che l’Iran ha bisogno dell’appoggio russo negli organismi internazionali, come il Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
L’Iran è un paese pieno di contraddizioni, arretrato per molti versi, ma anche tecnologicamente piuttosto avanzato in alcuni settori. Alle olimpiadi di matematica e fisica, tra i primi quattro-cinque classificati c’è sempre qualche studente iraniano che viene dall’interno del paese. Il 17% di chi lavora nella Silicon Valley californiana è iraniano. Il sito eBay è stato inventato da un iraniano. Il presidente del consiglio d’amministrazione di Uber è un iraniano...
Come dicevo, l’Iran è uno dei rari paesi che è oggi al fianco dei russi, con i droni e non solo; questo ha provocato un cambio d’atteggiamento dell’Europa nei suoi confronti. Adesso costruiranno una fabbrica di droni in Russia con know-how iraniano. L’Iran in questi anni ha anche rafforzato i rapporti con la Cina, che però sono completamente diversi da quelli intrattenuti con la Russia. La Cina si mangia l’economia dei paesi dove investe però tendenzialmente si disinteressa del regime politico in vigore. I russi invece no: pretendono anche un’alleanza politica. Infatti, per quanto il volume d’affari con la Russia sia molto inferiore a quello con la Cina, il ruolo della Russia in Iran è molto maggiore. Appena succede qualcosa, comincia un avanti e indietro di ministri iraniani con Mosca. L’Iran ha ormai accumulato anche un certo know-how su come aggirare le sanzioni; infatti i russi utilizzano molto i canali iraniani per vendere petrolio sottobanco o per fare operazioni bancarie. Questa alleanza Iran-Russia è destinata a crescere.
Con gli Stati Uniti non ci sono rapporti, o meglio c’è un rapporto di odio e di amore, perché è vero che ufficialmente i due paesi non hanno relazioni, però i figli dei dirigenti della Repubblica islamica, appena possono, vanno a studiare in America, e ci rimangono!
Il rapporto con l’Europa è diverso. L’Iran è un mercato molto ambito per alcuni paesi europei, perciò usa l’arma del ricatto: se voi prendete posizioni dure contro il nostro paese, noi chiudiamo le porte ai vostri prodotti. La diplomazia iraniana da sempre fa uso del ricatto, anche in modo molto spregiudicato. In questo momento ci sono 34 cittadini europei nelle carceri iraniane, perlopiù turisti fermati con scuse assurde. C’è un belga condannato a 40 anni di carcere, ci sono due spagnoli, sette francesi, cinque tedeschi, un polacco è stato liberato qualche giorno fa, e poi lussemburghesi, olandesi, persone di tutti i paesi. Ci sono anche una settantina di iraniani con doppia cittadinanza, pure loro in carcere con l’accusa di spionaggio. Li fanno sedere davanti alla televisione di stato (che è stata estromessa dal sistema dei satelliti europei, proprio perché si presta a questo gioco del governo) e ammettono reati non commessi.
Ora, i paesi europei, di fronte a un sequestro, cedono perché il valore della vita di un cittadino qua in Europa è molto alto. È quasi inammissibile che un governo non faccia di tutto per salvare un suo cittadino sequestrato. Il fatto è che questi, se tu paghi, se cioè cedi, non smettono e anzi ne prenderanno altri. Questo è un grande dilemma.
L’altro elemento che mette paura agli europei sono le cellule dormienti di gruppi terroristici non necessariamente iraniani; nei paesi europei ci sono anche libanesi, sudanesi, somali, algerini, tunisini. Per esempio, in Italia sei-sette anni fa c’erano venti cellule libanesi dormienti. Tutte monitorate, però, fino a che non fanno niente non li si può arrestare. Perché poi il bello o il brutto della democrazia è questo: anche se io so che tu sei un terrorista fino a che non compi un atto terroristico, non ti posso arrestare, non ti posso neanche allontanare. Sono scelte difficili.
Il prezzo pagato per la liberazione della Piperno è stato che il nostro paese non ha fatto comunicati di sostegno dei democratici o di condanna degli abusi compiuti in Iran durante le manifestazioni. I primi appelli sono usciti dopo che la Piperno è tornata a casa.
Questa ragazza non c’entrava nulla; hanno arrestato pure il polacco che era con lei e altri; stavano semplicemente assistendo a una manifestazione.
Uno spagnolo che voleva andare in Qatar a piedi per i mondiali, ha deciso di fare una sosta al cimitero di Saqqez per rendere omaggio a Mahsa Amini e l’hanno arrestato. Un’insegnante francese è andata a cena con alcuni insegnanti iraniani e ora è in carcere con il marito. Non sono riusciti a presentare un solo documento che la incolpasse di qualcosa. Si era solo incontrata con alcuni colleghi iraniani, punto.
L’Occidente insomma è sotto ricatto e fa molto meno di quanto potrebbe e dovrebbe fare. La gente in Iran è abbastanza delusa dai governi occidentali, non dalla società civile, che invece sembra molto attiva e sensibile. D’altra parte il governo italiano finora cosa ha fatto? Niente. E l’opposizione cosa ha fatto? Niente.
Il Pd ha indetto una manifestazione davanti all’ambasciata: erano in quindici persone. Verrebbe da dire che se non l’avesse fatto sarebbe stato meglio, perché poi gli organi di propaganda della Repubblica islamica postano la foto e dicono: “Guardate: eccovi l’Occidente!”. Marisa Laurito, direttrice del Teatro Trianon Viviani di Forcella, qualche tempo fa ha organizzato una manifestazione per l’Iran a Napoli e ha detto una cosa se vuoi banale: “Queste persone combattono per i valori che noi abbiamo ricevuto gratis, perché siamo così timidi nell’appoggiarle? Alla fine lottano per i nostri stessi valori”.
(a cura di Barbara Bertoncin e Bettina Foa)