Flavio Giacchero per Al rombo del cannon, ha curato trascrizioni musicali, selezione e l’elaborazione tecnica dei brani dei Cd allegati.
Come nasce questo vostro progetto di studio e raccolta dei canti della Grande guerra?
Emilio Jona. Franco Castelli, Alberto Lovatto e io siamo un gruppo di lavoro che si è proposto, da circa vent’anni, di studiare e valorizzare gli archivi dell’oralità popolare, partendo dalle ricerche sul campo che io e Sergio Liberovici avevamo condotto a partire dal 1958 per una trentina d’anni sul canto popolare di natura politica e sociale in Italia. Esse trovavano origine dalla creazione di Cantacronache, un collettivo di musicisti, poeti, letterati, formatosi a Torino nel 1957, di cui facevo parte insieme a Liberovici, Michele L. Straniero, Giorgio De Maria e Fausto Amodei, a cui si aggiunsero Umberto Eco, Italo Calvino e Franco Fortini. Cantacronache si proponeva di scrivere canzoni in opposizione a quelle di Sanremo, che noi chiamavamo gastronomiche, quasi fossero un cibo da consumare rapidamente e da espellere ogni giorno, canzoni che per la loro evasività non avevano la forza e la capacità di durare sul piano culturale. Volevamo creare una canzone non tanto popolare quanto intelligente, che non esisteva in Italia, ispirandoci a Brassens, Brel, Aznavour, Brecht, Weil, Eisler, al cabaret di Karl Valentin, raccontando storie vere, di cronache e di varia umanità, a contrasto con quelle del Festival di Sanremo, futili e povere quanto a linguaggio musicale e letterario. Le nostre canzoni non avevano accesso alla radio e alla televisione di stato, perché considerate anticonformiste, così le eseguivamo nelle case del popolo, nei circoli culturali, nelle leghe, nelle case private, nelle manifestazioni politiche di piazza. Il nostro pubblico era rappresentato dai borghesi progressisti torinesi e dai contadini e dagli operai delle case del popolo e dei circoli sociali. Fu questo ascolto a far emergere nel nostro uditorio popolare, come una sorta di baratto, la memoria di quel canto politico e sociale di fine Ottocento e del primo Novecento che vent’anni di fascismo avevano cercato di cancellare o occultare. Io e Liberovici, finita l’esperienza del Cantacronache nel ’62, ci siamo poi occupati, in modo più sistematico e rigoroso, di ricercare e portare alla luce quell’espressività popolare, sociale e politicizzata, che era stata prima conculcata negli anni fascisti e poi, nel secondo dopoguerra, erroneamente del tutto trascurata, come fosse un fatto più di propaganda politica che un fatto culturale.
Abbiamo lavorato sul campo raccogliendo memorie e canti soprattutto in Piemonte e in Toscana, poi anche in varie altre regioni italiane, e abbiamo scritto un primo libro sul canto degli operai torinesi. Dopo la morte di Liberovici nel 1991, con Castelli e Lovatto abbiamo creato questo gruppo di lavoro che, nel giro di vent’anni, ha realizzato quattro libri di qualche peso. L’ultimo, Al rombo del cannone, di cui oggi vogliamo parlare, è certamente il più complesso e impegnativo.
Si tratta di uno studio che si diversifica dai nostri lavori precedenti perché non è più fondato su nostre specifiche ricerche, ma su tutto quanto è stato scritto e registrato in Italia sul canto popolare della Grande guerra. Abbiamo impiegato tre anni e mezzo di lavoro e ciò ha significato utilizzare un ventaglio di competenze e interessi ben superiori a quelli di un singolo studioso, con la possibilità di accrescere le conoscenze e acquisire, confrontare e amalgamare una diversità di prospettive e di sguardi.
Alberto Lovatto. Il canto della Grande guerra è un tema che abbiamo continuamente incontrato sia nel canto di monda sia nel canto degli operai torinesi e per certi versi anche nelle ballate e nelle loro trasformazioni. Siamo ...[continua]
Esegui il login per visualizzare il testo completo.
Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!