Partiamo da un suo ricordo personale. Lei è del 1947. Ha vissuto una scuola molto diversa da quella attuale. Com’era studiare filosofia nel liceo che ha frequentato?
Ho deciso di iscrivermi alla facoltà di lettere, per poi prendere la specializzazione in filosofia, per un motivo curioso. Ero piuttosto bravo al liceo -la mia fu una delle migliori maturità d’Italia- ma non avevo simpatia per la filosofia. Anzi: ritenevo, da quello che mi veniva insegnato dal professore di filosofia, che i filosofi fossero una banda di pazzi e che quindi la filosofia fosse un’assoluta perdita di tempo. Decisi di vedere se era vero leggendo un classico. Fra la seconda e la terza del liceo classico lessi la Critica della ragion pura. Capii che non erano affatto pazzi, e dicevano cose sensate. L’insegnamento di filosofia che ho ricevuto era mediocre. Avevamo un manuale smilzo, una delle prime edizioni del manuale di Geymonat per i licei. Duecento pagine, non chiarissime, ma abbastanza da capirci qualcosa -e soprattutto avevamo la possibilità di leggere autonomamente e documentarci sui classici. L’insegnamento della filosofia, allora, aveva gli stessi identici difetti che ha adesso: era un elenco di posizioni filosofiche, presentate una dopo l’altra, spesso senza motivazioni argomentate o contesti chiarificatori. Faccio un esempio. Una passione di tutti i manuali di filosofia sono i presocratici, tutti iniziano da lì. Ora, se ci sono autori oscuri, di cui si capiscono con difficoltà i testi e le argomentazioni, sono proprio i presocratici. Studiarli è un’attività molto complicata: bisogna sapere il greco antico, orientarsi nella decifrazione dei papiri, essere in grado di conoscere la storia della cultura dell’epoca. Anche solo riassumere i risultati dello studio dei presocratici non è una cosa che possa darsi in pasto agli studenti di una terza liceo. Qual è quindi la scorciatoia che viene usata oggi? In un manuale ho visto fare questo: Eraclito accenna alla frugalità del vivere? Dedichiamo una pagina alla decrescita felice di Latouche. È una cosa che non ha molto senso. Ai miei tempi rimaneva tutto più vago: si assumeva come buona la genealogia dei presocratici fatta da Aristotele nella Metafisica, che è interessante, ma rimane comunque un punto di vista parziale. Un po’ come se oggi volessimo capire i filosofi del Novecento attraverso i soli scritti di Heidegger. Il manuale non era buono allora ed è peggiorato col tempo.
La scuola che ha frequentato lei era migliore rispetto a quella di oggi?
La nostra era una scuola di classe. Io venivo da una famiglia operaia. Bisognava avere qualcuno che ti mantenesse per tutti gli anni dell’università, se volevi studiare. Ma una volta entrato, la scuola era al 95% una scuola meritocratica.
Ho visto rampolli della nobiltà fiorentina cacciati dal liceo perché non studiavano. Sono stato molto criticato per aver citato nel mio saggio il libro della Mastrocola e di Ricolfi, Il danno scolastico. Non sono d’accordo con loro sulle cause che hanno generato la situazione attuale, ma è vero che oggi la scuola, in Italia, non è più un ascensore sociale: su questo hanno ragione. In questa situazione, in cui i ragazzi leggono pochissimo ed è difficile stimolarli, non puoi prendere la struttura del mio vecchio manuale di cinquant’anni fa e gonfiarla con inserti su cinema, classe rovesciata, debate, diagrammi, mappe concettuali, foto, pezzi di testi di autori messi qua e là... a mio avviso, il risultato è un libro ingestibile. Oggi i manuali delle superiori sono lunghi anche 700-800 pagine. C’è un horror vacui ridicolo: si sente il bisogno di coprire l’intera storia della filosofia da Talete a Heidegger, e spesso anche oltre, senza lasciare indietro nessuno. Prendiamo Sinapsi, a cura di Andrea Sani e Alessandro Linguiti, che per me è il miglior manuale di impianto storico fatto finora: ha ben cinque pagine dedicate agli hegeliani napoletani. Brave persone, per carità, ma che intere ...[continua]
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