Ci può parlare della Commissione appena istituita dal Senato e soprattutto dei suoi obiettivi?
Martedì 23 settembre si è ufficialmente insediato, presso la Commissione Giustizia, il Comitato sui problemi del carcere, più che una Commissione è dunque una sottocommissione. Ne avevo chiesto la costituzione già all’inizio della legislatura, proprio perché in questo contatto costante con il carcere emergevano problemi di cui tutti si fanno paladini a voce, ma nessuno poi riesce ad affrontarli concretamente.
Allo stato attuale, anche su sollecitazione del caso Sofri e dell’impegno che Sofri stesso ha dedicato al carcere, tutti parlano dei problemi carcerari, ma nessuno ha il coraggio di andare al di là della mera dichiarazione di intenti, mentre il carcere ha bisogno di riforme urgenti. Sentivo dunque l’esigenza di uno studio parlamentare sui problemi del carcere, nel tentativo di dare anche delle risposte adeguate a questi problemi.
C’è stato un tergiversare che non ha permesso di avere dei risultati nei tempi da me desiderati, pur trovando, la mia proposta, il consenso di molti.
Siamo così arrivati a questa estate, quando proprio la denuncia fatta da Sofri ha bruscamente svegliato questo Parlamento.
La Camera si è attrezzata di un comitato per il carcere, e così il Senato non ha potuto essere da meno. Queste due commissioni hanno ciascuna la propria autonomia, ma non credo si possano dividere i problemi del carcere e quindi i compiti delle commissioni. Anche in un sistema bicamerale perfetto come il nostro, credo che sul carcere si debba confluire in un unico binario, perché ci sono dei problemi precisi che richiedono soluzioni mirate, se non si vuole essere demagoghi. Il Presidente della sottocommissione, o comitato, rimane il presidente della Commissione giustizia, il quale ovviamente delega una persona che seguirà la commissione in termini operativi e reali. In questo caso ha diviso la delega fra due parti politiche contrapposte, cioè fra la senatrice Bonfietti, del Pds e la sottoscritta, di Forza Italia.
Come intende muoversi il comitato per raccogliere dati, informazioni, e soprattutto per “dare la parola” ai detenuti?
La prima richiesta che ho fatto, peraltro accolta, è stata quella di una lunga audizione con il neodirettore del Dap, dott. Margara, perché, essendo stato nominato da poco al posto di Coiro, sarà interessante capire come si pone lui di fronte ai problemi del carcere, e poi credo sia importante per noi iniziare un’attività avendo un quadro chiaro del carcere.
In realtà io credo di sapere quali sono i problemi fondamentali del carcere, però, per avere una opinione più autorevole, preferisco che queste conclusioni, a cui io sono arrivata visitando il carcere e ricevendo migliaia di lettere, vengano confermate e suffragate dalle parole degli amministratori carcerari. Quindi un incontro con Margara, con la possibilità di porre delle domande, è fondamentale. Inoltre vorrei, ma questo dipenderà da tutto il Comitato, nel rispetto delle regole democratiche, che venissero ascoltati anche i detenuti, dividendoli un po’ in categorie, in base alle varie problematiche: ergastolani, tossicodipendenti, donne in stato di gravidanza e detenute madri, stranieri.
Il problema del sovraffollamento carcerario invece resta quello che accomuna un po’ tutti. C’è poi anche il problema dell’amministrazione penitenziaria, degli agenti penitenziari.
Proprio ieri in Commissione giustizia si discuteva uno schema di disegno di legge in cui si prevede uno stanziamento per qualificare e specializzare la polizia penitenziaria, che trova il mio consenso, anche se nella sua formulazione lo trovo una “marchetta politica”- “istituzione di aule informatiche e didattiche destinate alla formazione e all’addestramento del personale penitenziario”.
Bisogna dire che la polizia penitenziaria ha bisogno di questa preparazione, anche alla luce dei nuovi provvedimenti che affidano alla polizia penitenziaria le traduzioni dei detenuti, e quindi il rapporto col detenuto non può essere quello fra “vittima” e “carnefice”, ma deve appunto rientrare in una sfera di rapporto umano che va al di là del rapporto di subordinazione. Ci deve essere, secondo me, anche una comprensione dettata proprio dalla forza della divisa della guardia, da una parte, e dalla debolez ...[continua]
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