Da dove nasce l’esperienza che racconti nel tuo libro “Ospite bambino”?
Nasce da un gruppo che nel 1980 ha costruito la casa laboratorio di Cenci. Si tratta di una struttura autogestita, dove ospitiamo sia classi di bambini, sia insegnanti che fanno corsi di formazione, sia attività teatrali e artistiche. In questo ambito abbiamo ospitato molti gruppi provenienti da vari paesi del mondo: dalla Colombia, dal Marocco, dall’India. In questo mio lavoro spesso si è partiti dal mettere in rapporto le diverse culture partendo dal discorso dell’arte. E così ho pensato che anche con i bambini delle elementari si poteva partire da lì per affrontare un nodo che, dal punto di vista sociale, sta diventando sempre più attuale, cioè la capacità di convivere con la diversità quando assume l’aspetto dello straniero a casa nostra. Questo mi sembra un problema che non si può non affrontare anche con i bambini.
Questo libro, Ospite bambino, racconta un’esperienza che io ho fatto negli ultimi tre anni nella scuola elementare di Giove, un piccolo paese umbro.
Dopo parecchi anni in cui mi ero occupato di educazione ecologica -partendo dal presupposto che ormai i bambini in Italia hanno un rapporto con la natura totalmente mediato, e quindi perdono l’enorme possibilità di conoscenza data dal rapporto diretto con il cielo, con l’acqua, con la terra, con gli elementi primi- mi sono accorto che, su questo argomento, suggerimenti molto profondi ci possono venire da altre culture.
C’è chi ha scritto che viaggiando e emigrando in qualche modo bisogna inventarsi la propria identità, un nuovo modo di sentirsi parte del mondo. E credo che trovare un nuovo modo di sentirsi parte del mondo non riguardi solo chi viaggia, ma anche chi riceve persone che vengono da altre parti del mondo. Aggiungo subito che, secondo me, sul piano della capacità di incontro con altri, con diversi, noi siamo, in Italia, veramente quasi analfabeti. L’esperimento a cui sto lavorando insieme con altri insegnanti, soprattutto del movimento di cooperazione educativa del quale faccio parte da anni, è quello di capire cosa può aiutare i bambini ad aprirsi a chi viene da lontano, a chi vive lontano da noi.
La mia programmazione per l’intero anno, in una quarta elementare, era indicata con una sola frase: “accorgersi che il mondo non è solo il nord del mondo”. Cioè mi piaceva l’idea che i bambini potessero rendersi conto che non esistiamo solo noi, né solo il nostro modo di vivere, né solo il nostro modo di pensare.
L’occasione per rendere concreta questa idea mi è venuta da un viaggio che ho fatto in Guatemala a seguito di un’offerta di lavoro nell’ambito della cooperazione, in un programma delle Nazioni Unite. Là tenni un piccolo corso con insegnanti del luogo. Quando sono partito ho portato con me il libro di Rigoberta Menchù, e più andavo avanti nel libro e nel viaggio e più mi sentivo veramente sconcertato dall’idea che io potessi in qualche modo fare qualcosa per loro, tale era la distanza, la gravità delle cose che erano appena accadute lì. In Guatemala c’è stato negli anni ’80 un vero e proprio genocidio, se ne è parlato poco ma ci sono stati centomila morti. Devo dire però che arrivando lì, cominciando a lavorare con i maestri -sarà stato forse per il fatto di fare lo stesso mestiere- c’è stata una possibilità di dialogo e di confronto sull’esperienza davvero insperata, molto bella, molto significativa, e da qui è nato un po’ il mio amore per questo paese.
Credo che la conoscenza, il fatto di provare amore per un luogo, la sua gente e la sua cultura, sia un fatto fondamentale per trasmettere quel tipo di valori che a me piacerebbe trasmettere ai bambini. E quindi, tornato da questo viaggio in Guatemala abbiamo fatto con i bambini di una quinta elementare un lavoro, per un anno che era essenzialmente una grande manovra di avvicinamento: come si può immaginare in Umbria la cultura maya.
E lì è stato interessante il fatto che all’inizio pensavo che avrebbero colpito i bambini molto di più gli oggetti, le immagini, le diapositive, i vestiti tradizionali, gli oggetti per cucinare, in realtà quello che veramente ha parlato ai bambini è stato il libro di Rigoberta Menchù. Io e i diciannove bambini di quella classe abbiamo letto, in quinta elementare, cosa per me tut ...[continua]
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