Potete parlarci della scuola francese? Quali cambiamenti si sono verificati dopo il ‘68 e come si possono valutare, a distanza di tanti anni?
Frédérique. Occorre fare una premessa. Prima del ’68, la scuola in Francia era molto selettiva: dopo le elementari, gli allievi si orientavano subito verso una sorta di avviamento professionale ottenendo un certificato di fine degli studi, oppure proseguivano in classe sesta, dopo aver superato un esame preliminare. Dovevano però scegliere la tipologia di scuola in funzione dell’orientamento successivo degli studi, vale a dire che si entrava in una classe sesta diversa a seconda dell’indirizzo professionale prescelto. L’allievo poteva scegliere scuole professionali brevi e allora andava in una classe sesta detta “moderna”, oppure sceglieva studi più lunghi, come il liceo -che portava alla maturità (baccalauréat)- e allora seguiva sette anni di studi secondari con uno stesso corpo insegnante. In classe sesta si faceva già una selezione che scartava dagli studi secondari coloro che venivano giudicati inadatti o privi della preparazione necessaria. Questa era una selezione scolastica ma anche sociale, perché c’erano famiglie che non potevano permettersi studi lunghi, non potevano comprare i libri; col certificato di studi, a 14 anni i ragazzi entravano nel mondo del lavoro, diventavano apprendisti e il padrone si occupava di loro, dava loro da mangiare e da dormire, per cui le famiglie non dovevano più sostenere alcuna spesa.
Dopo il ’68 si è deciso di democratizzare l’insegnamento nella scuola: non si selezionano più i ragazzi, li si mette tutti insieme, portandoli tutti dalla classe sesta fino alla terza, in modo da offrire a tutti la stessa formazione, lo stesso insegnamento, le stesse possibilità di riuscire. E’ quello che in seguito è stato chiamato “Collège Unique” (Scuola Media Unica) che, rispetto alla situazione precedente, scinde il ciclo di sette anni in due segmenti distinti, il primo, appunto, dalla classe sesta alla terza (dai 10/11 ai 14 anni), e l’altro dalla classe seconda alla terminale, con due corpi insegnanti diversi, gli insegnanti del collège e quelli della scuola secondaria superiore, e con un insegnamento che dalla sesta alla terza è meno esigente.
Il Collège Unique è nato da una grande speranza, sostenuto da insegnanti pieni di entusiasmo; sono stati anche attivati i mezzi per la riuscita del progetto. Per una decina d’anni il Collège ha funzionato, forse non su larga scala, ma ha comunque rappresentato una speranza di integrazione e di riuscita per molti immigrati, per gli abitanti dei quartieri disagiati o per popolazioni profondamente rurali che altrimenti non avrebbero potuto studiare.
Poi, piano piano, si è cominciato a capire che questa utopia non produceva grandi frutti: mettendo gli allievi tutti insieme, facendo seguire loro lo stesso insegnamento, si arrivava a delle impasse pedagogiche per cui, invece di elevare globalmente il livello di formazione, lo si faceva ristagnare; si allungava la durata della formazione senza che ci fosse al contempo un vero salto a livello qualitativo.
In realtà, più si mantengono la filosofia e le condizioni che hanno ispirato il collège -che ovviamente sarebbe giusto mantenere- e più si crea un collège a parecchie velocità, senza che gli allievi abbiano le armi per cavarsela.
Contemporaneamente sono avvenuti dei cambiamenti nella società: negli anni ‘80 la crisi economica e soprattutto il fenomeno della disoccupazione hanno cambiato molte cose: la maggior parte della popolazione scolastica non era preparata a fare i conti con tutto questo e il mercato del lavoro si è trovato con flussi di allievi troppo numerosi e con livelli di qualifica più avanzati rispetto a quelli che poteva assorbire. In definitiva, è la società che non ha saputo seguire la democratizzazione della scuola.
Sarebbe possibile concepire diversamente il Collège?
Edith. E’ complicato. Vista la realtà soc ...[continua]
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