Pubblichiamo la seconda parte della discussione sulla situazione politica avvenuta a casa di Vittorio Foa, con Pietro Marcenaro e Andrea Ranieri.

In molti, a sinistra, seguiamo con sgomento, quasi, il modo di comportarsi di questa destra; Vittorio, in un’intervista, ha definito infame la politica civile del governo. Nello stesso tempo, però, “sentiamo” che una contrapposizione muro contro muro, che vedrebbe da una parte i democratici, dall’altra gli antidemocratici, da una parte chi difende gli interessi popolari e dall’altra chi fa solo gli interessi di Confindustria se non, addirittura i propri, non porterebbe lontano. Voi come vedete la situazione?
Vittorio Foa. Sì, io ho detto che la politica della destra è infame perché al fondo è un invito agli italiani ad essere ladri, a essere corrotti e a corrompere, a essere buoni con la mafia, a lasciarla fare; equivale a dire: “Lasciamo che tutto vada per conto proprio, ognuno pensi a sé e non rompa le palle”. Questo aspetto esiste, non c’è dubbio, ed è importantissimo, ma si accompagna poi a un’indeterminazione totale della politica, da parte del governo. Prendiamo il caso dell’emigrazione: di fronte a una legge fatta da Bossi e da Fini, tra l’altro firmata da entrambi (e la doppia firma ha un significato particolare), alcuni segretari regionali protestano perché nella decisione sulla qualità e sul livello delle quote le Regioni sono tagliate fuori. Allora Fini interviene e convince Bossi a introdurre alcune variazioni che diano più spazio alle Regioni; tutto sembra risolto, la Confindustria batte le mani, salvo poi dire a bassa voce: “Però non sarà mai applicata”, e così riesplode già tutto: da una parte chi vuole blindare la legge e dall’altra chi dice: “Io voglio rivederla tutta”.
Quindi il Polo è spaccato, ma non tanto fra un alleato e l’altro, quanto all’interno stesso di Forza Italia. Ed è vero che dopo le elezioni, che Berlusconi ha vinto anche sul piano personale, i singoli alleati hanno cercato di riprendere l’iniziativa, ma quest’iniziativa dipende, tutto sommato, da quello che avviene in Forza Italia. La divisione, cioè, anche se non dichiarata, è in Forza Italia, e quando si manifesta il leader non dice nulla, sta zitto e tutto rimane irrisolto. Ma quello della legge sull’immigrazione è solo uno dei problemi; c’è lo sviluppo della riforma federalista, la devoluzione, c’è l’eliminazione di ogni garanzia negli appalti (come dicevo, il messaggio è inequivocabile: ognuno faccia quel che gli pare; hanno corretto perfino una legge che stabiliva la possibilità d’intercettazione telefonica nelle inchieste sugli appalti). A questo punto, di fronte ad una potenziale divisione del fronte di governo o, comunque, del fronte economico e sociale che lo sostiene, che avviene non per elementi ideologici, ma sul modo di affrontare i problemi, l’opposizione che fa?
Questa, mi pare, la domanda fondamentale. Ci sono due possibilità: una è quella di andare ad uno scontro frontale fra il centrosinistra e il centrodestra in nome delle sue inadempienze o delle sue infamie, l’altra è quella di cercare la divisione nel centrodestra. Secondo me, bisognerebbe puntare sulla seconda, cioè sulla divisione, e non tanto fra Forza Italia e gli altri, quanto dentro Forza Italia stessa, e, quindi, per questa via destabilizzare il governo.
Per fare questo, però, si richiede un qualcosa, che a mio avviso sarebbe molto importante, ma che la sinistra italiana ha dimenticato del tutto. So bene che qui posso essere accusato di destrismo, ma non importa. A mio avviso, bisognerebbe prendere in considerazione le possibilità del mondo delle imprese di dare qualche contributo a una normalizzazione democratica. Invece il mondo delle imprese è visto come il nemico e basta. Neanche al congresso dei Ds s’è sentita una sola parola rivolta al mondo delle imprese che dicesse: “Anche voi avete qualche possibilità di ristabilire una vera concorrenza, contro l’arbitrio e gli abusi o contro le infamie che sono possibili”. Una volta il partito comunista questo lo faceva con grande larghezza, con la piccola e media industria. Proprio nella vera tradizione riformista l’idea di mettere in crisi il mondo capitalistico era fortissima; il riformismo giolittiano era questo: “Ci sono i padroni cattivi, ma ci sono anche i padroni con cui si può ragionare”. Questo non c’è più. Amato ha fatto un grande discorso al congresso dei Ds e non ha detto una sola parola sul mondo delle imprese; ha detto che b ...[continua]

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