Lo spunto per questa intervista ci viene dalla serata organizzata da Testimonianze sull’11 settembre con Khalida Messaoudi. Alla mattina, come raccontavate, c’era stato un incontro con migliaia di studenti, organizzato dalla Regione, a cui lei aveva partecipato insieme a Gino Strada e a Jovanotti. Ebbene, ricordo che tutti eravate un po’ esterrefatti per l’estrema semplificazione, con Gino Strada a chiedere alla platea se fossero “per la pace o per la guerra”, con Jovanotti a invitare a seguirlo in un rap pacifista e con Khalida, in pratica, emarginata, pur essendo un interlocutrice ideale per ragazzi che volessero capire qualcosa del fondamentalismo. Lei stessa definì quella semplificazione “estremamente pericolosa” perché fatta di fronte ad adolescenti. Anche tu, del resto, giri per le scuole a parlare, e raccontavi di esserti trovato spesso in difficoltà nel cercare di far vedere la complessità dei problemi, attorno a un fatto come quello dell’11 settembre. Ovviamente non vogliamo parlare con te di pace e guerra, questo è lo spunto per parlare di “problemi di scuola”.
Dico subito che a mio avviso l’insegnante, se non deve avere l’assillo di fornire al ragazzo più conoscenza nel senso tradizionale del termine, non deve avere neppure quello di spingerlo ad andare a manifestazioni sui diritti umani o a esprimere posizioni “contro”. Quello che fanno, magari con generosità, anche tanti insegnanti di sinistra è meccanicamente un po’ questo: fare un sacco di discorsi impegnati sul mondo. Ma non è quello che viene richiesto.
Si tratta, invece, di fornire elementi di conoscenza critica. E questo sembra semplice, ma è la cosa più difficile da fare, in particolare oggi. Perché in particolare oggi? Partirei proprio da un problema di fondo, identificato benissimo da Edgar Morin, grande teorico del pensiero della complessità e dello studio della dimensione della terra-patria, cioè di questa dimensione globale in cui tutti siamo immersi. Lui dice che ai giovani “è stato rubato il futuro”.
I giovani soffrono, anche inconsapevolmente, di questa povertà sia di memoria storica che di prospettive: una sorta di indistinto presente. In verità è sbagliato dire, come spesso capita, che i giovani sono privi di motivazioni, ideali, disponibilità. Io ho fatto l’insegnante in tutti i tipi di scuola, ho fatto il maestro elementare, ho insegnato lettere alle medie, ho insegnato alle 150 ore per gli adulti (un’esperienza bellissima), poi ho insegnato pedagogia e filosofia negli istituti magistrali e ora faccio storia e filosofia nei licei scientifici.
Allora, per il poco che può significare un’esperienza individuale (ma è un percorso molto tipico che potrebbe raccontare qualunque insegnante che fa questo mestiere difficile con un po’ di motivazione) io non vedo questo deserto che a volte viene delineato; c’è piuttosto una specie di afasia che implicitamente però è carica di richieste, di esigenze, che solo in una minoranza di queste ultime generazioni, trovano poi risposte dal mondo del volontariato e da movimenti come quello no-global. La cultura diffusa, infatti, da una parte è quella del consumo di tutto quello che la nostra società offre, del soddisfacimento di tutti i bisogni “non naturali e non necessari” per dirla con Epicuro; dall’altra è quella dell’attenzione al mondo ridotta alla dimensione e alla semplificazione da talk-show.
I ragazzi percepiscono questa situazione e quindi spesso sembrano privi di qualunque passione, di qualunque spinta. Allora, il mestiere dell’insegnante, senza la pretesa di fare nulla di straordinario, è proprio volto a risvegliare la passione, la gioia dell’imparare. Che poi è ciò che mi pare ci abbia insegnato don Milani, al di là di quanto ci possa essere di datato in quell’esperienza.
Io per esempio, nella mia scuola dell’anno scorso, un liceo di Empoli, ho messo in piedi una cosa modestissima, di quelle che si fanno in collaborazione con associazioni e riviste: una serie di incontri pomeridiani sugli scenari mediterranei, su Israele e Palestina, sull’Algeria, sulle religioni monoteistiche. Ma come compito iniziale, in preparazione degli incontri, ai ragazzi ho proposto la lettura del giornale.
All’inizio c’è stata una reazione quasi di rigetto: “Ma professore noi di questa cosa non capiamo nulla…”. A me è venuto istintivo dire: “La settimana prossima ...[continua]
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