Ho conosciuto Andrea Caffi in circostanze piuttosto curiose. Era il 1923, io avevo quindici anni e tornavo dalla villeggiatura in Alto Adige, in treno insieme alla mia famiglia. Incontrai un individuo che si disse russo, e infatti lo era e mi informò di essere andato via dalla Russia per portarsi volontario nella guerra di Mussolini contro la Grecia, per l’incidente di Corfù. In quei giorni però l’incidente di Corfù era già sbollito, perciò questo russo veniva in Italia per niente. Aveva un passaporto col nome di Marco Cenerini, ma in realtà si chiamava Popof (che vuol dire figlio di pope) ed aveva ottenuto il passaporto per venire in Italia precisamente da Andrea Caffi, il quale appunto si trovava addetto all’Ambasciata italiana a Mosca e aveva cercato di dare più passaporti che si poteva a gente che scappava dalla Russia per la fame, per il terrore, la paura, per le condizioni spaventose che c’erano appunto nell’inverno del 1922-23. Ora io ero ragazzino, avevo quindici anni e diedi il mio indirizzo a questo Marco Cenerini il quale poi riuscì tuttavia a portarsi ugualmente volontario nell’aviazione italiana; infatti un bel giorno me lo vidi capitare a casa vestito da aviere, nella divisa azzurra dell’aviazione di Mussolini. Mi disse: io ho un amico russo qui a Roma, molto simpatico, che è un intellettuale
... si chiama Andrea Caffi, lui abita in Via Lombardia, gli ho parlato di te, gli ho detto che sei uno scrittore (infatti io mi professavo scrittore anche se non avevo pubblicato niente) e lui vuole conoscerti. Un bel giorno andai con Cenerini a trovare Caffi. Lui avvertì Caffi, poi se ne andò e mi lasciò davanti al portone in via Lombardia. Salii su da Caffi che abitava in una camera ammobiliata, presso una famiglia, una camera senza neanche l’ingresso libero, in fondo al corridoio. Appena entrai mi venne incontro e mi abbracciò come se ci fossimo sempre conosciuti. Mi fece una strana impressione. Era un uomo altissimo, con una testa tutta arruffata, i capelli grigi, e un viso con i tratti molto marcati; occhi grifagni e un po’ sbarrati, nasone pronunciato, grande bocca ironica e un’espressione tra ispirata e ironica. C’era in lui insomma il senso dell’uomo romantico, che ha avuto e ha tuttora degli ideali e al tempo stesso un’espressione delusa, ironica, amara e lungimirante con la quale sembrava dire: c’era da aspettarselo. Si trattava davvero di una strana mescolanza. Caffi fin da allora era vestito alla maniera che poi gli ho sempre visto, pantaloni sbrindellati, giacche informi, salvo quando doveva andare nel mondo, perché allora si metteva un vestito blu, abbastanza corretto, ma come insolito, che stranamente gli dava un aspetto di operaio indomenicato. Così vestito a festa aveva una grande eleganza naturale, quell’eleganza che appunto hanno gli intellettuali e gli operai. Non aveva nulla di borghese Caffi, proprio nulla, neanche un po’. Sempre emanava da lui un fortissimo odore di acqua di colonia, tant’è vero che quando mi ha abbracciato mi ha avvolto in una nube olezzante, cosa che mi colpì molto perché quando si è giovani si è colpiti dalle sensazioni e poi perché per me era una cosa estremamente insolita. Insomma non conoscevo nessuno che si mettesse tanta acqua di colonia addosso.
Caffi era un grande conversatore, anzi dirò di più, era un conversatore delizioso ed estremamente comunicativo ed espressivo, e molto intelligente naturalmente e coltissimo. Tutto questo però in maniera reticente e proprio da grande signore della cultura, senza mai alcuno sfoggio didascalico e di vanità anzi tenendosi per sé il più. Era un iceberg di cultura da cui emergeva soltanto una punta mentre tutto il resto restava sotto. Non era facile farlo venire fuori, ma si sentiva tutto il tempo questa cultura e questa sua esperienza di vita, anche quella di cui non parlava mai. Si sapeva più o meno che Caffi era stato dappertutto, che era stato quello che i tedeschi chiamano un uccello migrante, che aveva girato tutta l’Europa, che era un grande camminatore, che andava sempre a piedi, che aveva un certo disdegno aristocratico contro il progresso meccanico, e questo era già abbastanza strano in un mondo che rotolava già verso il consumismo e la comodità. Parlavamo spesso di letteratura e si parlava molto di Dostojevski del quale avevo letto soltanto Delitto e Castigo.
... In quel periodo vidi Caffi varie volte e poi mi ammalai molto gravemente, una ricaduta della tubercolosi ossea con dolori spaventosi, t
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continua]
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