12 aprile 2006
Chi ha vinto? Certamente è la prima volta nella storia che uno schieramento di centro-sinistra, alternativo si intende, arriva al 50%. Ma è ancor più impressionante, forse, che Berlusconi, malgrado tutto, e il tutto è tanto, mantenga il 50%. Forse val la pena di interrogarsi...
15 aprile 2006
Abbiamo ricevuto a mo’ di auguri di Buona Pasqua questo commovente messaggio da Domenico Cella (www.domenicocella.it). Lo giriamo.
Aldo Moro, Pasqua 1978. A Eleonora Moro (lettera dal carcere delle Brigate Rosse, non recapitata).
Mia Carissima Noretta, vorrei dirti tante cose, ma mi fermerò alle essenziali. Io sono qui in discreta salute, beneficiando di un’assistenza umana ed anche molto premurosa. Il cibo è abbondante e sano (mangio ora un po’ più di farinacei); non mancano mucchietti di appropriate medicine. Puoi comprendere come mi manchiate tutti e come passi ore ed ore ad immaginarvi, a ritrovarvi, ad accarezzarvi. Spero che anche voi mi ricordiate, ma senza farne un dramma. E’ la prima volta dopo trentatré anni che passiamo Pasqua disuniti e il trentatreesimo di matrimonio sarà senza incontro tra noi. Ricordo la chiesetta di Montemarciano ed il semplice ricevimento con gli amici contadini. Ma quando si rompe così il ritmo delle cose, esse, nella loro semplicità, risplendono come oro nel mondo. Per quanto mi riguarda, non ho previsioni né progetti, ma fido in Dio che, in vicende sempre tanto difficili, non mi ha mai abbandonato. Intuisco che altri siano nel dolore. Intuisco, ma non voglio spingermi oltre sulla via della disperazione. Riconoscenza e affetto sono per tutti coloro che mi hanno amato e mi amano, al di là di ogni mio merito, che al più consiste nella mia capacità di riamare. Non so in che forma possa avvenire ma ricordami alla Nonna. Cosa capirà della mia assenza? Cose tenerissime a tutti i figli, a Fida col marito, ad Anna col marito ed il piccolino in seno, ad Agnese, a Giovanni, ad Emma. Ad Agnese vorrei chiedere di farti compagnia la sera, stando al mio posto nel letto e controllando sempre che il gas sia spento. A Giovanni, che carezzo tanto, vorrei chiedessi dolcemente che provi a fare un esame per amor mio. Ogni tenerezza al piccolo di cui vorrei raccogliessi le voci e qualche foto. Per l’Università prega Saverio Fortuna di portare il mio saluto affettuoso agli studenti ed il mio rammarico di non poter andare oltre nel corso. Ricordami tanto a fratelli e cognati ed a tutti gli amati collaboratori. A Rana in particolare vorrei chiedere di mantenere qualche contatto col Collegio e di ricordarmi a tutti. Mi dispiace di non poter dire di tutti, ma li ho tutti nel cuore. Se puoi, nella mia rubrichetta verde, c’è il numero di M.L. Familiari, mia allieva. Ti prego di telefonarle di sera per un saluto a lei e agli amici Mimmo, Matteo, Manfredi e Giovanna, che mi accompagnano a Messa. Ed ora alcune cose pratiche. Ho lasciato lo stipendio al solito posto. C’è da ritirare una camicia in lavanderia. Data la gravidanza ed il misero stipendio del marito, aiuta un po’ Anna. Puoi prelevare per questa necessità da qualche assegno firmato e non riscosso che Rana potrà aiutarti a realizzare. Spero che, mancando io, Anna ti porti i fiori di giunchiglie per il giorno delle nozze. Sempre tramite Rana, bisognerebbe cercare di raccogliere cinque borse che erano in macchina. Niente di politico, ma tutte le attività correnti, rimaste a giacere nel corso della crisi. C’erano anche vari indumenti da viaggio. Ora credo di averti stancato e ti chiedo scusa. Non so se e come riuscirò a sapere di voi. Il meglio è che per risponderne brevemente usi giornali. Spero che l’ottimo Giacovazzo si sia inteso con Giunchi. Ricordatemi nella vostra preghiera così come io faccio. Vi abbraccio tutti con tanto tanto affetto ed i migliori auguri. Vostro Aldo.
P.S. Accelera la vendita dell’appartamentino di nonna, per provvedere alle necessità della sua malattia.
17 aprile 2006
Tutti hanno sospeso gli aiuti ai palestinesi. E poi? Li guarderemo dimagrire? Li guarderemo ammalarsi? Di là da un muro?
18 aprile 2006
Secondo Rossana Rossanda i comunisti sarebbero stati “il sale del 900”. Ma -specifica- quelli di qua, rimasti all’opposizione. Beh, allora bisognerebbe che almeno dimostrassero un poco di gratitudine a quei loro nemici tanto odiati, i capitalisti, gli americani, i democristiani, i socialisti, eccetera eccetera, che impedendo loro di realizzare ideali, sogni, programmi, li han fatti rimanere il meglio dell’umanità, i migliori, “il sale” appunto. Dove i comunisti hanno avuto l’occasione di mettere in pratica le loro idee, beh, si sa, troppo sale fa il deserto.
19 aprile 2006
In televisione il capo della mafia siciliana. Viveva come un pastore d’altri tempi. “Per essere in sintonia con chi sta in carcere”, dice il procuratore. Subito dopo, per caso, un servizio sull’ex-governatore a vita della Banca d’Italia. Dopo aver fatto combutta con un amico, aver accettato i suoi regali lussuosi, ora, per discolparsi, lo accusa di fronte ai magistrati... Abbiamo qualche speranza di vincere la lotta alla mafia?
20 aprile 2006
Allora? Chi ha vinto? Beh, nelle istituzioni ha vinto la sinistra, nella società Berlusconi. Alla sinistra i pensionati e il pubblico impiego, più Emilia e Toscana, a Berlusconi il resto. Da qui un senso di scoramento profondo... Altro che gridare vittoria. Se abbiamo almeno smesso di credere nella “manipolazione delle coscienze”, idea antropologica non proprio consona per gente di sinistra, possiamo metterci lì a riflettere, a domandare e a domandarci perché in tanti hanno votato per lui? E cosa c’è che non va nella sinistra? Noi un’ipotesi l’abbiamo fatta già dieci anni fa... La forza di Berlusconi sta nel suo messaggio anti-statalista e il suo anticomunismo, sia storico che politico, trova la sua ragion d’essere nello statalismo tuttora imperante, culturalmente e politicamente, nella sinistra. A guardare alla sinistra sembra di essere in un paese di socialismo reale dove si è perso il contatto con la realtà e la società, e si resta attaccati allo Stato con le unghie e coi denti. Burocrati politici e burocrati dell’amministrazione statale alleati insieme... e, quando va bene, riforme calate dall’alto. Quando l’unico messaggio che si lancia è quello del “buon governo” si propone sempre e soltanto una politica lontana dalla società, che non si pone il problema di coinvolgerla nella soluzione dei problemi, che non crede nelle sue possibilità di autogestione, che, alla fine, non crede nella gente. E’ come dire: “Lasciateci fare, faremo bene per voi”. Tutto questo, per una sinistra democratica, dovrebbe essere come bestemmiare in chiesa. Ma tutto questo, invece, non contraddice affatto l’imprinting culturale dei marxisti, innamorati dello Stato da sempre, da quando Turati scelse la via tedesca e non quella laburista inglese... Lo Stato e poi più. Tutti paladini di uno Stato che, per di più, in Italia fa schifo. Il volto dello Stato in Italia è quello del maresciallo della finanza con villa miliardaria, del magistrato corrotto da Previti, non quello di Falcone e Borsellino; è quello del burocrate che taglieggia il cittadino e, se va bene, del burocrate puro esecutore, totalmente irresponsabile; è quello del barone universitario che trucca tutti i concorsi, è quello degli arbitri corrotti. Ha il segno di un regolismo che non riesce a fare una legge che non moltiplichi le adempienze. E la giustizia, supremo diritto del cittadino, è una macchina atroce che stritola lentamente.
Certo che Berlusconi è un imprenditore anomalo che ha fatto fortuna “fregando lo Stato”. Ma appunto! Non è che chi vota per lui non sappia che razza di carriera ha fatto. Ma si identifica in lui proprio per quello, perché ha fatto i soldi fregando lo Stato. Casomai non piace, ma, stante così le cose, lui dà più garanzie di un altro sul tenere a bada lo Stato. Che altra spiegazione potremmo dare del fatto che le peggiori schifezze “passano”? Leggi ad personam, condoni, conflitto di interessi... Dovremmo decidere che la metà della popolazione (più una buona metà dell’altra metà, che si comporta uguale) fa schifo... E’ mai possibile?
25 aprile 2006
“Un tavolo da biliardo donato al re Faisal I dalla Corona inglese nel 1920, attorno tappeti scoloriti e macchiati. Il giardino ormai un campo di fango”. L’Hunting Club e l’Alwiya, i due club più esclusivi di Baghdad, dove attorno a bar fornitissimi, e alle piscine in cui le donne nuotavano insieme agli uomini, si ritrovava la borghesia cosmopolita di Baghdad, quella “né sciita né sunnita”, stanno morendo. I frequentatori di prima, persone istruite, tendenzialmente laiche, occidentalizzate, che avrebbero dovuto costituire il cuore di una nuova società civile irachena, stanno fuggendo dal paese. I nuovi avventori, spesso profittatori di guerra, sono arroganti e armati, i vecchi camerieri sono a disagio con la loro maleducazione... (The New York Times, 23 aprile 2006).
Ce lo insegnano loro: senza ceto medio niente democrazia. Il più grande bazar del Medio Oriente è stato distrutto da dieci anni di embargo, la guerra ha completato l’opera di proletarizzazione del paese. Complimenti agli esportatori di democrazia.
26 aprile 2006
Zapatero ha presentato un progetto di legge per riconoscere alle grandi scimmie antropoidi il diritto alla vita, alla libertà, a non essere torturate e a non essere schiavizzate. La Chiesa spagnola ha parlato di “ridicolo”.
Beh, questioni di punti di vista. Ad altri può sembrare molto ridicola un’idea di dio che predica l’amore per il prossimo e poi permette che si possa torturare a piacimento il simile (e identico, per la capacità di provare dolore). Un dio un po’ schizofrenico... Ha fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza? Va bene, ma perché far la scimmia a immagine e somiglianza dell’uomo? Dov’era il senso?
27 aprile 2006
Da rileggere. “L’artigiano e i due bagni”... A proposito di “Berlusconi e noi”, riproponiamo il brano di un’intervista di alcuni anni fa.
“Quello che ci opprime è la paura di cadere in fallo, di ritrovarsi sul giornale come evasori, perché casomai sono venuti e hanno trovato qualche anomalia, o perché viene l’ispettorato o l’Usl e trova che non siamo in regola. Noi abbiamo cercato di metterci a posto, ma è difficile, c’è sempre la paura che qualcosa non vada. ‘Oddio adesso cosa succede, non abbiamo fatto la visita medica sulla sala’, perché c’è la sala verniciatura che deve fare la visita ogni tre mesi: sono tutte cose a cui l’artigiano non è mai stato abituato, perché aveva la sua bottega sotto casa, i residui li buttava nella spazzatura, ma adesso bisogna portarli via e bisogna pagare per farlo. Bisogna fare le analisi ogni tre mesi, sperare che siano giuste, occorrono le concessioni, tutta una serie di cose... Solo per portare via la spazzatura, abbiamo girato sei mesi, non sapevamo dove portarla perché quella roba lì bisogna portarla là, quell’altra bisogna portarla da un’altra parte, l’altra da un’altra parte ancora. Ci sono delle leggi che proprio non siamo nelle condizioni di applicare fino in fondo. E’ questo che infastidisce me, come tanti altri artigiani, non le troppe tasse. Uno ha la sensazione di essere sempre fuori regola, fuori norma. Ci dovrebbe essere l’ufficio per il pubblico, ma anche quello per la contabilità, lo spogliatoio per i dipendenti, i bagni, maschio e femmina, e tutto in un locale, magari piccolissimo, di poche centinaia di metri quadrati. Siamo arrivati a delle assurdità come quella di avere i due bagni distinti, uomini e donne, anche per un’azienda a conduzione familiare; lavorano marito e moglie e devono avere due bagni in bottega, quando ne hanno uno solo in casa” (da Una Città, n. 62, ottobre 1997, intervista a Daniele Martini).
30 aprile 2006
Da rileggere. “Le leggi lunghe cinque pagine...” Sempre a proposito di “Berlusconi e noi”.
“Il problema principale della politica italiana sono le tantissime leggi composte di tanti e lunghissimi articoli. Tornando in Parlamento, a distanza di tanti anni, non l’ho riconosciuto. Ero andato via che si approvavano articoli di legge di dieci righe e sono tornato che si scrivevano articoli lunghi due pagine, con venti incomprensibili richiami a leggi e decreti precedenti.
Cos’era successo? Che all’opposizione di sinistra, in Parlamento più attiva, più presente e più documentata, in un clima di corresponsabilizzazione consociativa, si lasciava la facoltà di scrivere le leggi. In pratica, chi governava, ed erano sempre gli stessi, governava in virtù di un tacito placet di chi stava all’opposizione e in contropartita riceveva un potere di veto sul piano legislativo.
Purtroppo chi sta all’opposizione, e a causa del "fattore k" pensa di starci a vita, non ha molta propensione a garantire spazi di decisionalità, di autonomia e di discrezione a chi ha il potere esecutivo e ai suoi funzionari periferici. Da ciò nasce il nostro sistema legislativo di 200 mila leggi, e questo è l’effetto del consociativismo. Consociativismo che non è stato in Italia il governare assieme; questo non è mai avvenuto. Ma come si fa, mi chiedo io, a parlare di spartizioni? La sinistra non ha mai avuto nulla per decenni, nelle banche come nelle partecipazioni statali.
Molti danno la colpa alla sinistra dell’attuale situazione del Paese; eppure la sinistra al governo c’è stata un solo giorno: dal giuramento di Ciampi all’improvvida uscita dalla maggioranza, avvenuta la sera stessa dopo il voto della Camera su Craxi. No! La sinistra non ha spartito il potere, ha governato attraverso le leggi e soprattutto attraverso la meticolosità delle leggi. Non ha gestito potere (salvo che nelle regioni rosse), ma ha impedito anche agli altri di gestirlo. In Italia, il potere esecutivo ha margini di autonomia e di decisione bassissimi; non si tratta di rafforzare Palazzo Chigi magari attraverso il presidenzialismo; si tratta di lasciare alla discrezionalità dell’esecutivo le competenze che di solito sono lasciate a chi governa in tutti i Paesi democratici, anche a democrazia parlamentare. Come si fa a chiedere ai funzionari periferici della pubblica amministrazione di operare in modo oculato, con efficacia ed efficienza, se la loro possibilità di iniziativa è praticamente annullata dalle leggi?
Ditemi, per esempio, quale sindaco, dall’alto del suo consenso popolare, può assumersi la responsabilità di consentire a un cittadino di costruire dieci centimetri più del consentito o di imporre a un altro di costruire dieci centimetri di meno del previsto. E allora che senso ha poi criticarlo per ciò che fa o non fa? Possibile, mi chiedo io, che una persona democraticamente eletta, o investita, come funzionario pubblico, di elevate funzioni, non abbia mai la possibilità di rispondere sulla sostanza delle proprie decisioni, senza doversi sempre attenere a ciò che già la legge formalmente e minutamente prevede?
Possibile che per evitare gli abusi e le illegalità, che avvengono ugualmente (e d’altra parte pochi conoscono bene le leggi come i malfattori!), si debba impedire in ogni modo di adeguare la lettera allo spirito della legge e ai bisogni reali dei cittadini?
Quando l’opinione pubblica si indigna alla notizia curiosa che il fisco ha chiesto il rimborso di dieci lire a un cittadino attraverso una procedura lunga e costosa, c’è qualcuno che si chiede se quel funzionario aveva il potere di fermare una procedura tanto insulsa? Quando si vedono certe stupidaggini nella scuola, nella sanità, nell’edilizia pubblica o in quella privata, ci si è mai domandato se coloro che hanno prodotto o consentito la stupidaggine avevano la facoltà, a norma di legge, di evitarla? Tutti abbiamo visto alloggi popolari, assegni di studio, posti di lavoro pubblici, concessi a persone che ne avevano solo i titoli formali, non quelli sostanziali, ma concretamente c’era qualcuno che aveva il potere di impedire queste assegnazioni?
Si continua a pensare che possa essere la sola legge a moralizzare la vita pubblica. E invece abbiamo bisogno di una sana democrazia, dove chi ha ricevuto i voti governa con vera responsabilità, chi sta all’opposizione lo controlla, e dopo quattro o cinque anni si ritorna ad affidare il potere all’elettorato” (da Una Città, n. 51, giugno/luglio 1996, intervista a Francesco Giuliari).
3 maggio 2006
Un soldato dei reparti scelti britannici, le Sas, ha abbandonato l’esercito dopo essere tornato dall’Iraq. “Gli iracheni vengono trattati come persone subumane. Ho visto commettere ogni sorta di violenza, uccidere senza motivo”, “Ho visto ogni sorta di abuso. Gli americani si sentono i padroni dell’Iraq” (dall’Unità, 3 maggio 2006).
Alla radice del disastro iracheno c’è il disprezzo, e niente affatto il rispetto, per popolazioni oppresse da una dittatura. In tutto il mondo occidentale si è diffuso una specie di razzismo di stampo coloniale, verso “i pezzenti”, che oltre a essere odioso, sta diventando politicamente catastrofico.
4 maggio 2006
James Wolfensohn, inviato speciale del Quartetto in Medio Oriente, già presidente della Banca Mondiale, ha annunciato le sue dimissioni spiegando che la situazione non gli consente più di svolgere le sue funzioni. Nel suo ultimo rapporto ha messo in discussione la decisione dell’Unione Europea e degli Usa di tagliare gli stanziamenti al governo palestinese. Dopo aver speso quasi più di un miliardo di dollari all’anno in aiuti ai palestinesi, perlopiù per la costruzione di istituzioni e dell’economia necessarie per dar vita a uno Stato praticabile, “dovremmo ora semplicemente abbandonare questi obiettivi?”. L’impossibilità dell’Anp di pagare gli stipendi sta già avendo un impatto pesantissimo sull’economia. “La situazione fiscale dell’Autorità palestinese è andata di male in peggio”. Per il 2008, dato questo scenario, la disoccupazione potrebbe raggiungere il 47% e la linea di povertà il 74% della popolazione. La Banca Mondiale stima che già nel 2006 il Pil crollerà del 27%”. “Mi sorprenderei se qualcuno avesse successo sbattendo fuori dalla scuola tutti i bambini palestinesi o affamando la popolazione. E stento a credere che qualcuno del Quartetto ritenga questa una politica”.
Ma la sfortuna che affligge i palestinesi è senza fine! Si chiede loro di fare elezioni democratiche, le fanno, le più democratiche del Medio Oriente da che mondo è mondo, votano contro i corrotti (e denunce della corruzione nei Territori erano arrivate da tutto il mondo), e cosa ne hanno in cambio? Fame, miseria e malattie. Avranno pure votato male, forse dovevano votare tutti scheda bianca... e però!
5 maggio 2005
Radio Maryia, emittente radiofonica, insieme al canale televisivo “Trwam” e al quotidiano “Nasz Dziennik” (Nostro giornale), rappresenta il fiore all’occhiello di un movimento, chiamato “Famiglia Radio Maryia”, che è stato capace di radunare per il suo annuale incontro la bellezza di 200 mila pellegrini. Un piccolo grande impero mediatico che sta causando però parecchie grane all’episcopato polacco. Una vicenda che travalica ormai i confini di stato e che ha trovato spazio anche su uno dei più autorevoli quotidiani di lingua tedesca, il Frankfurter Allgemeine Zeitung. In una corrispondenza da Varsavia, firmata da Konrad Schuller, viene ricostruita la vicenda dell’emittente “incriminata” e i suoi legami con l’attuale presidente Kaczynski, esponente principale di un partito, Diritto e Giustizia, che si è presentato al paese come lo specchio fedele del cattolicesimo polacco. In verità, Radio Maryia non ha mai goduto di ottima reputazione. Per anni, infatti, i programmi delle emittenti di Tadeusz Rydzyk si sono caratterizzati in chiave fondamentalista, nazionalista e anticomunista. Non solo: la linea editoriale è stata a lungo dichiaratamente anti-europeista, eccedendo assai spesso in posizioni antisemite e illiberali. A lungo le onde radio hanno veicolato il messaggio che la costruzione dell’Europa unita costituiva una cospirazione massonica con la quale tedeschi ed ebrei avrebbero preso il potere, e più volte la storia della seconda guerra mondiale è stata “rivisitata”.
Lo stesso editore, padre Rydzyk, più volte ed in prima persona avrebbe sostenuto che il pogrom anti-ebraico di Jedwabne, perpetrato da tedeschi e polacchi, era stato una “tragi-commedia”, costata allo Stato polacco ben 100 milioni di dollari. (www.korazym.org)
Domanda: perché nessuno ne parla di quelli che vedono ovunque montare una nuova marea di antisemitismo? Eppure qui le “referenze” sono ottime...
6 maggio 2006
Bombe atomiche sull’Iran per paura che voglia fare la bomba atomica? C’è qualcuno che in qualche riunione ne sta parlando?
7 maggio 2006
Poco prima di morire Alexandre Dumas aveva firmato una petizione in difesa delle oche di Strasburgo, per denunciare la barbarie e l’accanimento degli allevatori, i quali, per fare ingrossare il fegato dei palmipedi, ne inchiodavano le zampe e li accecavano in modo da tenerli il più immobili possibile.
Un mercoledì sera di un secolo e mezzo dopo Richard Daley, sindaco di Chicago, non era particolarmente felice, all’uscita del consiglio comunale: “Abbiamo bambini uccisi da capibande, trafficanti di droga. Abbiamo problemi gravissimi in questa città e ci dobbiamo occupare del foie gras!”. Chicago sarà la prima città americana a mettere fuorilegge il foie gras. Passato con 48 voti contro uno, il regolamento entrerà in vigore entro tre mesi e renderà ristoranti e supermercati passibili di un’ammenda di 500 dollari. Il promotore, Joe Moore, consigliere comunale, ha fatto appello alla cittadinanza affinché denunci le violazioni: “Facciamo del nostro meglio per scoraggiare pratiche barbare. Meno ristoranti serviranno questo prodotto della tortura animale, meno animali saranno vittime di una crudeltà indescrivibile”. Per Gene Bauston, presidente e fondatore di Farm Sanctuary, gruppo animalista, “Chicago ha compiuto un gesto storico che avrà delle conseguenze in tutti i paesi” (da Le monde, 29 aprile 2006). Il foie gras, il fegato grasso, a cui il Parlamento francese ha attribuito l’etichetta di “patrimonio culturale e gastronomico”, non è altro che il fegato malato delle oche e delle anatre, contenente un’eccessiva quantità di grassi. Steatosi epatica è il termine che definisce questa malattia. Il foie gras viene ottenuto sovralimentando oche e anatre, attraverso la tecnica del gavage, che consiste nell’ingozzamento con circa 500 gr di mais cotto e salato fino a 8 volte al giorno, per un periodo che va dalle quattro alle otto settimane (come se una persona del peso di 80 Kg fosse costretta a mangiare 20 Kg di spaghetti al giorno). Per ingozzare questi animali si utilizza un tubo metallico lungo circa 28 cm che viene infilato nella gola delle oche: una pratica che provoca lesioni del gozzo, con conseguente rischio di infezioni e soffocamento. (www.peacelink.it)
9 maggio 2006
Riceviamo una lettera di protesta di un lettore a proposito del servizio sui martiri e l’islam, nel quale non si pronuncia una condanna morale del terrorismo e, a proposito dell’intervento su Sharon, in quanto non mette in risalto né le responsabilità dei paesi arabi nel non raggiungimento della pace né quelle di Arafat che rifiutò le proposte di Barak che concedevano ai palestinesi il 98% dei territori. L’accusa, quindi, è quella di una mancanza, grave, di equidistanza.
Pubblichiamo la risposta del coordinatore della rivista.
L’argomento è alquanto spinoso e a mettere nero su bianco si ha sempre una qualche titubanza. Intanto sui martiri: beh, lì si cerca di capire il fenomeno da un punto di vista storico, sociologico, psicologico e, infine, ideologico. In un contesto simile non credo sia necessario “condannare moralmente”. E’ scontata questa condanna da parte nostra? Pensiamo proprio di sì, anche se “capire” (che, come si dice, non significa giustificare) esclude anche il “demonizzare”. Ogni demonizzazione (fosse pure quella dei nazisti) sposta il giudizio in un ambito metafisico e impedisce per l’appunto di capire, di confrontarsi, di comparare (molto imbarazzante, per me almeno, la comparazione coi militanti dell’estrema sinistra degli anni ‘70 che fa Roy, ma oltremodo interessante; se si pensa invece a un ragazzo spiritato, telecomandato, ansioso e convintissimo di trovare di lì a poco 70 vergini, lo allontaniamo da noi irrimediabilmente, facendolo diventare un comodo alieno ostile, su cui poter scatenare tutta la nostra potenza difensiva). Molto importante, poi, moralmente, e anche politicamente, riuscire a tener divisi il ragazzino palestinese o la giovane vedova cecena dal giovane rivoluzionario saudita di buona famiglia che si butta sulle Torri (cosa che l’insipienza terribile di Bush e compagnia non ha capito). Ma, sempre per rispondere alla questione morale: sul ragazzino palestinese forse è necessario saper distinguere, per usare un’espressione stantia ma sempre buona, la malattia dal malato. Colpire in modo indiscriminato dei civili è moralmente da condannare in ogni caso, ma quando noi abbiamo chiesto ripetutamente a El Sarraj, psichiatra palestinese che ha lasciato uno studio affermato a Londra per andare ad assistere i ragazzini di Gaza, un democratico a suo tempo imprigionato anche da Arafat, se se la sentiva di condannare quel ragazzino, s’è tirato indietro, quasi a dire: “per favore questo non chiedetemelo”. Mi fermo anch’io. Questi sono ragazzi o ragazze cresciuti sotto un’occupazione orribile, che hanno visto il loro padre doversi umiliare di fronte a un ragazzo in divisa di 18 anni, che, a un dato punto, forse reclutati da adulti (che, loro sì, meritano un disprezzo totale) ma a volte no (quasi un’intera squadra di calcio di una “parrocchia”, per emulazione degli amici che morivano... Pensiamo ai nostri ragazzi, quante scelte fanno per “contagio”, per emulazione, per idealismo anche) vanno a dare la vita per vendicare offese, reali o immaginarie, alla propria famiglia o al proprio popolo. (A proposito dell’umiliazione dei padri: viene in mente, nei Karamazov, quando Dimitrij umilia, e per pura leggerezza -ha fretta, è per strada- un uomo di fronte al figlio ragazzino, e poi, accortosi di quel che ha fatto, accetterà, senza difendersi, di essere condannato innocente, per parricidio... Ho sentito il solito Ferrara in Tv interrompere il palestinese che voleva far presente cosa fosse un checkpoint sbottando: “Sì, sì, l’umiliazione dei padri, eccetera, eccetera, sappiamo”. Come dire, “le solite sciocchezze...”).
Sami Adwan raccontava di aver sentito una madre israeliana dire in un’assemblea: “Io sono terribilmente triste, e sento ancora un grande dolore -ha perduto la figlia in un attentato palestinese- e tuttavia provo un senso di sollievo a sapere che l’assassino di mia figlia sia morto anch’egli. Ad essere onesta mi chiedo però come debbano sentirsi le madri palestinesi sapendo che gli assassini dei loro figli o figlie sono ancora vivi e liberi, senza nemmeno la paura di essere portati in tribunale”.
Un ultimo punto in questo sproloquio confuso. Se parliamo di morale ci dovremo anche chiedere chi sia più moralmente riprovevole, quel ragazzo che va a morire per far morire dei civili innocenti in una guerra asimmetrica (in cui la potenza, cioè, è tutta da un lato) o il soldato israeliano che per colpire un dirigente di Hamas o della Jihad attacca con missili un condominio provocando consapevolmente la morte di civili innocenti, o ancora quei soldati israeliani che a Jenin intimano lo sgombero di un palazzo in tre minuti e non danno retta alle donne che dicono che lassù c’è un uomo in carrozzella... (sono fatti riportati da fonti israeliane, ovviamente, come del resto è la versione israeliana di Jenin, per numero di morti, eccetera, quella più esatta).
Sull’altra questione, brevemente. Gli stati arabi, che fra Settembre Nero e Tall El Zhatar hanno massacrato più palestinesi di Israele, non possono mai diventare l’alibi dell’occupazione dei territori. E’ l’occupazione dei territori con implacabile colonizzazione ad avvelenare tutta la vicenda, speriamo non irrimediabilmente. Anche dopo Oslo, dopo Camp David, gli insediamenti sono andati avanti. E allora cosa dovevano pensare i palestinesi? D’altra parte al pianterreno della sede del Likud c’è la descrizione esatta di qual è, da sempre, il programma della destra: dal mare al Giordano, punto. Ma è la prima volta nella storia che si pratica un espansionismo senza volontà di assimilazione. Cosa si fa delle popolazioni residenti?
Su questo abbiamo già scritto: alla fine, se si sarà usata la Shoà, della quale i palestinesi non sono minimamente responsabili, per rendere definitivo uno statuto da sottouomini per un gruppo etnico (uno staterello che non è uno stato, dove si dovrà chiedere il permesso per andare a trovare un cugino, che non avrà l’acqua, che non potrà avere un esercito, ecc. ecc.) e questo nell’indifferenza generale del mondo, si sarà commessa un’ingiustizia atroce che griderà, appunto, e purtroppo, vendetta per decenni. Già Hannah Arendt, se non sbaglio, preconizzava solo problemi da una tale occupazione...
Poi si può discutere di tutto, delle proposte di Barak (che non sembra fossero reali, e a dirlo sono stati commentatori americani insospettabili) o della corruzione mostruosa di Arafat e soci (che invece sembra realissima) o della sua collusione con gli attentati (verosimilissima), degli errori e dei crimini degli uni e degli altri, ma quello resta il punto cruciale: l’occupazione dei territori. Del resto, se il problema fosse quello della sicurezza di Israele ma perché non ritornare sui confini del 67 (con correzioni concordate) e poi, allora sì, al primo, o ancor meglio al secondo attentato (che a quel punto non potrebbe che avere il segno della volontà di distruggere Israele) bombardare tutte le costruzioni e le infrastrutture (previo preavviso ai civili) che nel frattempo i palestinesi avessero costruito con fatica e sacrifici? Allora sì, che ci sarebbe la legittimità a colpire.
Abbiamo dei dubbi sul fatto che a quel punto a combattere e debellare il terrorismo provvederebbero gli stessi palestinesi?
10 maggio 2006
“Dopo tre anni e almeno 150.000 cadaveri iracheni, noi che volevamo rovesciare il regime di Saddam Hussein per il bene degli iracheni, possiamo ancora affermare che ne valeva la pena?” si chiede Johann Hari, editorialista dell’Independent.
George Packer, giornalista di stanza in Iraq, anch’egli all’inizio relativamente favorevole all’invasione, parla di una situazione in cui gli iracheni non si sentono più liberi di dire quello che pensano, di appartenere a un qualsiasi gruppo, di vestirsi come credono, anche solo di camminare per strada senza rischiare la vita. Il potere è stato trasferito a milizie antidemocratiche, che controllano scuole e ospedali, minacciano le donne non velate, imbastiscono pseudo-tribunali che emanano condanne a morte in nome della Sharia.
Quando gli si chiede se dunque aveva torto, Hari cita l’amico iracheno costretto quotidianamente a cancellare nomi e numeri dal suo cellulare. “Sì, avevo torto. Orribilmente torto”. Ed era tutto chiaro fin dall’inizio. “Con gli uomini di Bush il disastro era assicurato”: tortura di massa, 10.000 persone finite nelle prigioni irachene senza un processo; una privatizzazione feroce che ha fatto impennare la disoccupazione al 60%: la migliore garanzia per un conflitto etnico, e pensare che fino al 2003 più del 20% dei matrimoni erano misti (tra sunniti e sciiti).
Lo stesso argomento “ricostruzione” ha perso ogni credibilità dato che la distribuzione d’acqua ed elettricità funziona peggio che sotto Saddam. Senza parlare di tutti quelli che sono morti “a causa dei ragionamenti di gente come me”. Anche l’alibi per cui “sempre meglio che sotto Saddam” è presto svanito. Qualcuno anzi ha iniziato a dire che mai come ora ci sarebbe “bisogno di un Saddam”.
Pare che la maggior parte delle milizie abbiano l’appoggio popolare, ma solo perché si oppongono all’occupazione. Il ritiro sarebbe dunque il modo migliore per togliere a questi gruppi il sostegno della gente. Agli iracheni è chiaro già da un po’: secondo gli ultimi sondaggi del ministero della difesa l’80% degli iracheni è per il ritiro “immediato” delle truppe. Così finalmente potranno occuparsi loro di jihadisti e fondamentalisti. Intanto un sondaggio dell’istituto Zogby ha rivelato che il 72% dei soldati americani sono favorevoli a un ritiro entro l’anno.
“Una guerra surreale tra occupati e occupanti -malgrado loro”, conclude Hari, ponendosi un’ultima terribile domanda: il governo Bush sarà disposto a rinunciare al petrolio iracheno, dopo averci speso 200 miliardi di dollari, solo perché il popolo iracheno e i suoi stessi soldati glielo chiedono? (The Independent/Le Monde).
Che lezione da due giornalisti che che ammettono pubblicamente di aver avuto “orribilmente torto”, restituendo alla parola tutta la sua drammatica responsabilità...
15 maggio 2006
Noi ovviamente non contiamo nulla, ma ciononostante avanziamo una richiesta solenne agli ex-comunisti del Pci (la specifica è necessaria perché ci sono anche gli altri ex-comunisti, quelli del 68, e l’impressione è che i conti con le loro idee e i loro atti di un tempo li abbiano fatti ancor meno dei primi): promuovano un convegno sulla figura di Camillo Berneri, grande intellettuale italiano, anarchico eterodosso, antifascista della prima ora e altrettanto rigoroso anticomunista, amico dei fratelli Rosselli, combattente di Spagna. E fu in Spagna che venne ucciso dai comunisti delle brigate internazionali che ne rivendicarono l’omicidio sul giornale comunista in Francia. In questo convegno, poi, si faccia luce, finalmente, sul ruolo che ebbe Togliatti in Spagna.
E’ chiedere troppo? E’ una richiesta da pazzi? Forse sì, visto che pensiamo anche che se l’avessero fatto per tempo, negli anni scorsi, forse ora la storia del nostro Paese sarebbe diversa... E chissà, se mai si dovesse tenere, che un simile convegno non possa svolgersi sotto l’alto patrocinio della Presidenza della Repubblica...
appunti del mese
Una Città n° 138 / 2006 Aprile
Articolo di Redazione
APPUNTI DI UN MESE
Archivio
EGREGIO SIGNOR LADRO...
Una Città n° 126 / 2005 Febbraio
Realizzata da Paola Sabbatani
Realizzata da Paola Sabbatani
Stefano, Paolo, Elton, Giuma, Sandro, Alessandro, Elvis il più giovane, Claudio, Gianfranco, Marino, Andrea, uno dei soci fondatori, Nicola, Ilir, Graziano il vignettista sono nella redazione di Ristretti Orizzonti; Ornella Favero ne è la coordinatrice.Co...
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Editoriale del n. 303, settembre 2024
Una Città n° 303 / 2024 settembre
Dedichiamo la copertina alle elezioni americane che, questa volta sicuramente, ci riguardano più delle nostre. La rinuncia di Biden, ormai inevitabile, non toglie nulla alla grandezza della sua presidenza, forse la più importante degli ultim...
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Editoriale del n. 302
Una Città n° 302 / 2024 giugno-luglio-agosto
Dedichiamo a Giacomo Matteotti la copertina e anche l’apertura. Non solo al coraggioso antifascista, che parlò sapendo cosa gli sarebbe costato, ma anche al coerente e lungimirante socialdemocratico. Fa impressione il disprezzo espresso da Gr...
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Editoriale del n. 301
Una Città n° 301 / 2024 aprile-maggio
C’è stato il 25 aprile e abbiamo immaginato che uno scrittore importante, o un artista, o un filosofo, anche a nome di tanti altri, venisse in tv a dirci che essere antifascisti non vuol dire esserlo “di ieri”, in retrospettiva, m...
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Editoriale del n. 305
Una Città n° 305 / 2024 novembre
La copertina è dedicata allo sgomento, allo sconforto, alla disperazione che ci ha preso dopo il risultato delle elezioni americane. In un mondo nella cui metà regna già il fascismo, rosso nero o verde che sia, nell’altra met&ag...
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