Felice ha 27 anni, si è laureato in biologia in Svizzera dove è nato, a Losanna, da madre svizzera e padre sardo. Fra le sei lingue che parla egli inserisce anche l’idioma paterno. E’ piccolo, tarchiatello, biondissimo, con due ridenti occhi azzurri sul viso incorniciato da una tenera barba nazzarena.
Ma soprattutto Felice è felice: felice di muoversi, sempre scalzo, sulle sue isole di vulcani silenziosi o gorgoglianti; felice di nuotare, fra foche e pinguini, nelle gelide acque tagliate dalla corrente di Humboldt; felice di aiutare i marinai ad issare fiocchi e controfiocchi; felice di raccontare esilaranti storielle stupendamente mimate; felice di ascoltare, sonnecchiando, i nostri ricordi di viaggi quando di sera ci ritroviamo sul ponte a contemplare un cielo di stelle senza palpito. Felice è fresco e innocente come gli animali delle Galàpagos. Non è una guida: è un amico.
Non nutro eccessiva affezione per gli animali troppo attaccati alla terra o troppo sollevati in aria. Ma le Galàpagos ne sono strapiene.
Le iguane di mare e di terra, innocui draghetti squamati, te le ritrovi ovunque fra i piedi: incollate al basalto scuro delle scogliere o semiaffondate nelle sabbie candeggiate delle spiaggette. Non si spostano di un millimetro e rischi sempre di calpestarle. Quando incappiamo in una numerosa colonia, dobbiamo procedere saltellando e sembriamo tutti impegnati in una buffa danza senza ritmo. Rettili e sauri non sono mai entrati nelle umane simpatie ed anche questi inerti animaletti non sfuggono alla regola del ribrezzo.
Sterminata è poi qui la fauna volante. Già nella barca abbiamo fraternizzato col mimo poliglotta, che non è un attore diplomatosi al liceo linguistico ma un anonimo uccelletto grigio che imita le voci degli altri uccelli. E’ così petulante, irrequieto e confidenziale, quando ti frulla intorno becchettandoti mani e piedi, da farti sentire come Biancaneve fra le bestioline del bosco.
La prima delle nove isole che visitiamo è Seymour. Quando approdiamo Felice ci impone di seguire il percorso delimitato da paletti di legno. Ma ad un certo punto incontriamo due sule dalle zampe azzurre, ferme in mezzo al sentiero: si tratta di un uccello pescatore grosso quanto un’anatra grossa, con lungo becco e una testina di capelli a spazzola. L’occhio tondo e truce gli dà un aspetto lombrosiano da moderno naziskin. Le zampe palmate sembrano dipinte con una vernice a smalto.
Felice si blocca e ci blocca. Perché non allontana gli intrusi? Il fatto è che gli intrusi siamo noi. Felice lo sa e lo sanno anche le sule. Le aggiriamo di lato cercando di evitare i loro colpi di becco.
Più avanti, nella zona di nidificazione, ce n’è un’intera colonia. Il maschio richiama la femmina in volo con una fischiatina che sembra il nostro sibilo di ammirazione per le ragazze prosperose. Questa atterra accanto a lui che le offre un rametto. Se viene accettato, dopo un preludio di inchini e strofinamenti, la lungaggine del corteggiamento viene ricompensata, in tempi inversamente proporzionali, con una montata che sancisce l’inizio di un ménage matrimoniale assolutamente legale.
Nella stessa isola nidifica sul “palo santo” (un alberello scarnito che trasuda essenze profumate come la pelle di Alessandro) un altro uccello ittiofago, un vero campione di volo librato: la fregata. Il maschio è dotato, sotto il gozzo, di una sacca che gonfia fino a farne un pallone rubicante talmente dilatato che pare debba scoppiare. Mai si è potuto dire a maggior ragione che una femmina si sia lasciata intrappolare da un pallone gonfiato. Questo uccello esibizionista è l’incubo delle sule: essendo un pescatore di scarsa abilità, anziché scendere in picchiata sui banchi di pesce, come fanno le sule con straordinaria velocità e competenza, preferisce picchiare nei due sensi su di loro, costringendole a mollare il pesce e rapinandole della ...[continua]
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