Il giorno dopo
Domani è un altro giorno. Suprema incoscienza, coraggio o saggezza. Di certo l’inizio di un nuovo giorno è problematico, soprattutto dopo un giorno vissuto intensamente. I bambini piccoli non vogliono andare a dormire, i parlamentari non volevano andare a nuove elezioni, gli studenti non volevano interrompere la lotta.
Si teme il nuovo giorno, qualcuno teme l’interruzione di un bel sogno, altri semplicemente il dover fare i conti con una realtà spiacevole. Privatizzazione o meno sanno bene che li aspetta la vendetta di quegli stessi docenti che hanno solidarizzato -salvando anche lo stipendio- con loro. Qualcuno esplicitamente: e ora facciamo i conti; qualche altro con maggiore dolcezza: e ora cerchiamo di recuperare il tempo perduto. Ma il risultato non cambia.
Mi dicono che i ragazzi più “seri” sono per smettere, qualcuno si incontra clandestinamente con qualche insegnante più responsabile; in assemblea gli ultimi disperati sono appoggiati soprattutto dai giovanissimi che allegramente considerano il tutto come un gigantesco marinare la scuola.
Che la paura della realtà ordinaria giochi un ruolo è chiaro perché si vocifera anche di 36 garantito, che è nient’altro che un modo di sancire l’irrealtà di questa vicenda e anche della scuola in generale.
Tutto questo accade quando presidi, insegnanti, genitori, stampa, adulti in genere rinunciano a svolgere il proprio ruolo e per inconfessabili motivi sono presi da un raptus solidaristico verso i giovani ed i ragazzi che mai hanno preso in considerazione e mai considereranno. Così accade in certe famiglie in cui ai genitori piace fare le ore piccole e si compiacciono di pensare che sia il piccolo a non voler dormire e si sentono molto libertari ad assecondare il figlio che convalida la loro stessa scelta; così insensatamente genitori e figli continuano un gioco di snervamento che non libera nessuno ma asservisce ciascuno alle debolezze dell’altro.
Forse il panettone natalizio interromperà questo gioco perverso.

Salmerie
Le salmerie svolgono nella vita come nelle guerre un ruolo molto più importante di quello che riservano loro i libri di storia. Si dice che in alcune scuole mamme-solidali abbiano rifocillato i figli impegnati nell’occupazione o nell’autogestione: un bel gesto confacente al ruolo ausiliario che le donne, le madri in primo luogo, hanno da avere in ogni battaglia. Senonché poteva essere una buona occasione perchè i figli, ed i maschi in particolare, imparassero a fare i conti con le cose banali della vita. In una occupazione si imparano tante cose, ripetono i pensatori dell’ultima ora senza preoccuparsi di vedere cosa realmente succede nell’occupazione, ma tra le tante cose che i giovani potrebbero imparare una certamente mancherà.

Dialogo con la mosca nocchiera
Il libro più dissacrante che abbia visto sul ’68 è stato compilato a Bari da qualche giovane studioso alcuni anni fa. Non l’ho mai letto, ma mi ha divertito una specie di vocabolario-manuale dove sono raccolte tutte le voci di quella enciclopedia: striscione, tatze-bao, volantino, blocco stradale, picchetto, occupazione, autogestione, gatto selvaggio, autoriduzione, ecc... Così come un vocabolario non può dare alcuna idea della ricchezza espressiva della lingua, così non può farlo questo manuale rispetto ad un movimento. Ma i professori sono specializzati a ridurre la ricchezza del mondo dentro le formule, ed anche in questo caso recitano pedissequamente le formule apprese: non cattivi maestri, ma pessimi allievi, ripetitori acritici di un imparaticcio superficiale giusto per “fare bella figura”.
“L’occupazione è un momento di presa di coscienza” ripete il professore-cattivo allievo.
Già, pare strano però che questa presa di coscienza avvenga dopo quasi un mese di autogestione e che la cosa riguardi piccoli gruppi diversi da quelli che hanno condotto l’occupazione”.
“ Ma nel sessantotto...”
“ Ma c’era esattamente il percorso inverso: dai momenti di lotta più elementari, alle forme di autogestione. E poi scusa, presa di coscienza di che cosa? Per decidere l’occupazione dovevamo scontrarci con la famiglia, i professori, i rettori, la polizia, e soprattutto con l’autorità interiorizzata da tutti noi. Essere strascinati per giorni e giorni per le scale dalla polizia che toglieva l’occupazione, che noi puntualmente ricominciavamo, ci aiutava a togliere sacralità all’autorità interiorizzata. Qui non succede niente di tutto questo. Accadranno certamente c ...[continua]

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