La riflessione che ne consegue, ma che raramente emerge, è che l’uomo si accanisce contro il corpo cui deve la nascita, le prime cure, le prime sollecitazioni sessuali. Mi domando il motivo di questo silenzio, perché ritengo che, al contrario, sia importante esprimersi sulla confusione tra violenza e amore, tanto più che, probabilmente, è proprio questo tragico annodamento che impedisce alle donne di riconoscere la violenza. Se non la denunciano, spesso non è per paura, bensì per il fatto che non la sanno ancora distinguere dall’amore.
Serve perciò una riflessione su cosa rappresenti questo corpo femminile che l’uomo incontra nel momento della sua maggiore dipendenza, in una condizione di estrema inermità, ma che è anche il corpo che incontra nella vita amorosa adulta e con cui sogna di ristabilire un’appartenenza intima, di rivivere in qualche modo l’originale fusione con il corpo della madre.
E’ un percorso che purtroppo non si esaurisce con l’infanzia: l’ estrema dipendenza, l’ indispensabilità reciproca si prolungano ben oltre i bisogni di un bambino. Confinando la donna nel ruolo di madre, l’uomo ha costretto anche se stesso a restare in qualche modo figlio.
La famiglia è un altro tema che il femminismo non ha sviluppato adeguatamente negli anni ’70, che è rimasto sospeso, e che meriterebbe davvero di essere oggetto delle nostre riflessioni. La famiglia istituzionalizza l’infanzia, cioè conserva rapporti di dipendenza e di indispensabilità reciproca ben oltre il bisogno. Sappiamo come gli uomini riescano a trasformare in madre una moglie, un’amante, ma anche una figlia o una sorella, ed è la persistenza del ruolo materno che crea delle forti pulsioni aggressive all’interno di questi legami, come se l’uomo scoprisse la dipendenza nel momento in cui la donna compie un leggero spostamento, quando non è più a disposizione, non rappresenta più il corpo che l’uomo ha creduto di possedere. Gran parte degli omicidi avviene oggi perché le donne si sono separate, si sono allontanate. Ciò significa che l’uomo tende a non prendere atto della sua dipendenza, non si accorge che può godere di libertà nella vita pubblica solo perché esiste una condizione di base che gliela assicura.
Se le donne non garantissero la cura dei bambini e degli anziani, l’uomo non avrebbe la libertà di muoversi nel mondo, di adempiere il suo ruolo pubblico. Quando l’aggressore non ha il volto dello sconosciuto incontrato in strada, ma quello di colui che mangia alla tua tavola, dorme nel tuo letto, l’offesa perde ovviamente i suoi contorni, e ne conseguono tentativi di comprensione, di adattamento. Se oggi le donne sono più disposte a denunciare la violenza, forse è perché cominciano a riconoscerla, a distinguerla dall’amore, e mi auguro anche perché percepiscono solidarietà e forza da parte delle altre donne.
Non dobbiamo dimenticare che la legge che punisce la violenza sessuale come reato contro la persona è nata dall’impegno del movimento femminista.
Altro punto importante è il rapporto con la vita pubblica. L’amore è così contiguo alla violenza non per una bizzarria della natura, che avrebbe mescolato le pulsioni di vita e di morte, ma perché si colloca nel cuore del dominio storico di un sesso sull’altro, da cui non può essere disgiunto, aspetto questo che costituisce anche la particolarità dell’oppressione e del dominio maschile. Dobbiamo dunque affermare chiaramente che quanto accade all’interno delle case è strettamente legato a quanto avviene nella vita pubblica, da cui le donne sono state escluse e in cui, nonostante leggi di pari opportunità, stentano ancora ad entrare. La donna è stata identificata con il corpo ...[continua]
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