Ci raccontava Pietro Marcenaro che portando una bozza di documento a Bruno Trentin per averne un parere, era facile che, dopo una rapida scorsa, alzasse il viso imperturbabile e dicesse: “Poco impopolare”.
24 agosto 2007
Peccato questa storia dei mutui.
Ora che succederà? Che per avere la prima casa bisognerà portare la seconda a garanzia?
Dispiace anche un po’ che con la bolla speculativa (che, certo, è sempre meglio che scoppi il prima possibile) si dissolva anche, come una bolla di sapone, la parola d’ordine lanciata da Bush di “tutti proprietari”. Noi troviamo che sia una parola d’ordine bellissima, che la sinistra, a maggior titolo della destra, potrebbe scrivere a lettere d’oro sulle proprie bandiere. Proprietari di se stessi, del proprio corpo, della casa in cui si abita, del proprio sapere e del proprio lavoro, proprietari, insieme agli altri, dell’ambiente in cui si vive… E’ una parola d’ordine che non solo mette in contraddizione radicale con se stesso il liberalismo (che, come ci ha spiegato l’amico Nico Berti, difende il diritto di proprietà ben sapendo dell’impossibilità del suo esercizio da parte di ognuno); non solo ci salvaguarda da ogni utopia collettivista o da ogni forma di paternalismo sociale, immancabilmente destinate a scivolare in dispotismi burocratici; ma rimette su fondamenta solide le lotte per i diritti sociali, altrimenti destinati a essere un ibrido fra conquiste sociali e pervasive legiferazioni, entrambe sempre reversibili.
“Tutti proprietari”, una parola d’ordine bellissima, che fa impallidire una sinistra, cosiddetta radicale, convertita ormai alla “protezione dei deboli”, imperativo quanto mai nobile se dettato da un sentimento che è del tutto umano e universale, quanto mai equivoco come programma politico di una sinistra che, da sempre, ha e deve avere nell’emancipazione la sua prima ragion d’essere.
La proprietà libera, scrisse Proudhon dopo aver detto che era un furto. Una verità elementare che conoscono bene tutti coloro che finalmente, con tanti sacrifici, possono entrare in una casa loro.
Ripensando al 68 e oltre, e all’“andata fra gli operai”, vien da vergognarsi ricordando il disprezzo che tanti studenti e intellettuali, spesso figli di “proprietari”, provavano per i tre grandi sogni riposti nel cuore di tantissimi operai: la casa di proprietà, la laurea per i figli e, spesso, il “mettersi in proprio”.
25 agosto 2007
Una delle foto più sconvolgenti sulla guerra in Iraq è stata scattata l’anno scorso in una cittadina rurale del Midwest. Si tratta del servizio fotografico di Nina Berman, fotografa newyorkese, del matrimonio di una giovane coppia dell’Illinois.
La sposa, Renee Kline, 21 anni, la fidanzata di una vita, indossa il tradizionale abito bianco e porta un mazzo di fiori rossi. Lo sposo, Ty Ziegel, 24 anni, ex sergente dei Marines, veste la sua uniforme, decorata con le medaglie d’onore. L’espressione di lei è severa, forse triste. Quella di lui, mentre la guarda, è difficile da interpretare: la sua testa, dall’incarnato pallidissimo, è priva del naso e del mento.
Due anni prima, in Iraq come riservista dei Marines, Ty è rimasto intrappolato in un convoglio in fiamme dopo un attentato suicida. Il calore gli ha sciolto anche parte della faccia. Al Brooke Army Medical Center in Texas si è sottoposto a 19 interventi chirurgici. Il cranio è stato rimpiazzato da una calotta di plastica e la faccia ricostruita alla bell’e meglio con i brandelli di tessuto recuperati; dei fori sono stati lasciati al posto delle orecchie e del naso.
“Marine Wedding”, questo il titolo del servizio, non è stato il primo incontro della Berman con i mutilati della guerra in Iraq. Ha iniziato a fotografarli nel 2003 e ora le sue foto stanno girando il mondo. Non sono tutte scioccanti come “Marine Wedding,” per quanto i traumi e le ferite siano talvolta anche più gravi. Luis Calderon, 22 anni, di Puerto Rico, è rimasto gravemente ferito alla colonna; un muro di cemento che doveva demolire (c’era un murale di Saddam Hussein) gli è caduto addosso. Per quanto dal suo ritratto non risulti evidente, oggi è tetraplegico.
In tutte le foto i veterani sembrano soli, isolati, anche quando è presente qualcun altro.
Solo uno dei veterani, Acosta, nelle brevi interviste raccolte a corredo del reportage, esterna sentimenti di amarezza e recriminazione contro la guerra; per qualcuno resta il periodo migliore della vita; Randall Clunen dell’Ohio ricorda ancora ...[continua]
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