Da venerdì la Kasbah della rivoluzione non esiste più. Anche dei carri armati non ci sono più tracce. Dopo le dimissioni del Primo Ministro, Mohammed Ghannouchi -amico di Ben Ali e Ministro durante i suoi 23 anni di Governo- e dopo la presentazione pubblica del nuovo Primo Ministro, Beji Caid Essebsi, avvenuta giovedì 3 marzo, i manifestanti sembrano aver ottenuto quello che chiedevano dal 14 gennaio scorso: un vero rimpasto con l’eliminazione totale degli strascichi del Governo di Ben Ali.
Nonostante l’attenzione dei media sia stata, forse, giustamente spostata sull’emergenza libica, le ultime settimane tunisine sono state intense e cariche di tensione. I tunisini, soprattutto i giovani, non hanno mai smesso di manifestare. All’inizio in modo sporadico e poco organizzato, affollavano quasi ogni giorno la centralissima Avenue Bourguiba per esprimere pacificamente il loro dissenso rispetto ad un Governo ancora intriso di uomini troppo corrotti e "poco nuovi” del partito di Ben Ali, l’Rcd.
Da domenica 20 febbraio, hanno ripreso ad occupare la Kasbah, la piazza del Primo Ministero, in modo continuo e organizzato. Moltissimi giovani hanno resistito al freddo, alla pioggia, alla stanchezza e si sono alternati sulla piazza per più di una settimana, giorno e notte, fino alla grande manifestazione indetta venerdì 25 febbraio, la più grande dopo quella seguita all’ultimo discorso di Ben Ali. Hanno partecipato più di centomila persone per manifestare il loro dissenso e chiedere le dimissioni del Primo Ministro, Mohamed Ghannouchi. Tante teste, tanti colori, tante voci unite in canto.
Dato che le dimissioni non arrivavano, nella giornata di sabato 26, i manifestanti hanno deciso di assaltare il Ministero dell’Interno. Per ore si è quasi sfiorata la guerra civile tra polizia e manifestanti. Cinque ragazzi sono morti, colpiti da proiettili su Avenue Bourguiba, la via principale di Tunisi. Uno di loro vive in medina, proprio vicino alla piazza, dove si incontrano tanti giovani come lui: Mohamed Hanchi aveva solo diciotto anni. Quando la madre ha saputo ed è venuta alla Kasbah, sulla piazza è sceso il gelo.
Erano, così, necessari altri scontri e altri morti perché alcuni membri del Governo presentassero le dimissioni e accogliessero le richieste del popolo. Solo adesso si potrà seriamente pensare alla ricostruzione di una Tunisia post Ben Ali.
Il Primo Ministro, Beji Caid Essebsi, più volte eletto durante la presidenza di Habib Bourguiba -il primo capo di Stato della Tunisia indipendente- ha una solida esperienza diplomatica alle spalle e da subito è stato accettato dalla popolazione. Intanto, la Costituzione è già in fase di revisione. Sono state individuate e saranno penalmente punite le persone coinvolte negli affari dell’Rcd. I nuovi partiti politici, costituitisi subito dopo la caduta di Ben Ali, stanno ricevendo il riconoscimento ufficiale del Ministero dell’Interno. Stanno nascendo le prime Ong, think thank, associazioni e organizzazioni libere del post-rivoluzione.
I tunisini sono decisamente motivati a costruire una Tunisia come non l’hanno mai vista. Sono coscienti, però, che gli sforzi da fare saranno molti perché l’economia del Paese è ancora troppo debole per farsi carico autonomamente delle conseguenze di quel che è accaduto. Credo che la Tunisia che esce dalla rivoluzione sia comunque un Paese dalle mille letture.
In strada c'è un fermento incredibile: ognuno espone la sua teoria con sfaccettature che variano da persona a persona. Non si può nemmeno ignorare che sono molte, anche se forse non rappresentano la maggioranza, le persone che fanno prevalere il pessimismo sull’ottimismo. Per adesso ci si guarda intorno e si aspetta. Si attende l’organizzazione delle prime vere elezioni nella storia del Paese e si cerca di distrarsi un po’ da quasi due mesi di rivoluzione, concentrandosi su altri dibattiti politici e su un’altra sfida che sta mettendo alla prova la Tunisia: l’accoglienza dei libici alla frontiera.
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