13 febbraio 2012. Autismo
Su "Libération” sono apparsi alcuni articoli che riaprono il dibattito sull’autismo, nello specifico sul ruolo che possono avere gli psicologi in questa patologia. L’occasione è l’uscita, a marzo, di un rapporto de l’Haute Autorité de santé, la massima autorità sanitaria francese, sulle raccomandazioni in merito al trattamento dell’autismo, da cui risulta che non ci sono evidenze sull’efficacia dell’approccio psicanalitico, né di quello psicoterapico. Vietata anche la pratica dell’impacchettamento, una "terapia” utilizzata in Francia con bambini con gravi forme di autismo e autolesionismo che consiste nell’avvolgerli per ore con bende fredde. Pierre Delion, capo della Psichiatria pediatrica a Lille, da trent’anni impegnato nell’uso di un metodo integrato per trattare questa malattia (che prevede anche il "packing”), è disorientato: proprio non capisce il perché di accuse così dure verso il mondo della psicanalisi. I genitori interpellati, dal canto loro, non usano mezzi termini: "La psichiatria è nefasta e pericolosa... non la vogliamo”, dice M’Hammed Sajidi, presidente di "Vincere l’autismo” che ha lanciato una vera offensiva contro il "packing”, ritenuta una pratica barbara.
La storia di M’Hammed Sajidi è emblematica e spiega anche la sua rabbia: dopo aver trascorso otto anni affidandosi al mondo degli psicanalisti, da cui gli era anche stato consigliato di separare la madre dal figlio, si è avvicinato alla metodologia Aba, che prevede l’uso dei principi scientifici dell’analisi comportamentale e improvvisamente ha avuto dei risultati. In realtà anche quest’ultima metodologia non è sempre così efficace. Il problema è che il mondo dell’autismo è al centro di un conflitto ideologico e i genitori, stufi di sentirsi colpevolizzati, hanno lanciato la loro controffensiva. (liberation.fr)

14 febbraio 2012. Fobia
Da qualche settimana si assiste in Giappone a una generalizzata corsa all’acquisto di tutta una serie di prodotti per proteggersi in caso di sisma. Le vetrine propongono caschi, lanterne a energia solare, radio a dinamo, toilette portatili. Philippe Mesmer, di "Le Monde”, racconta che nonostante i giapponesi vengano addestrati fin da bambini a reagire correttamente alla minima scossa, dopo lo tsunami del marzo 2011 qualcosa è cambiato.
Poco dopo la catastrofe, gli scienziati del Centro governativo sui sismi hanno valutato con una probabilità del 70% il rischio dell’arrivo del "big one” nei prossimi 30 anni. Peggio: il 23 gennaio l’Istituto di ricerca sui sismi ha anticipato l’evento al 2016, scatenando così una guerra di previsioni tra chi ritiene di poter predire con assoluta certezza l’evento e chi ribadisce che è impossibile. Situazione che certo non aiuta a rassicurare la popolazione. Intanto il "kit antisisma” è ormai esaurito. (lemonde.fr)

14 febbraio 2012. Una famiglia polacca
Ovh è un’azienda privata di web hosting francese che si occupa di fornire server dedicati, domini e servizi di telefonia. La sede è a Roubaix, nel nord della Francia, una "megalopoli virtuale” -racconta Christophe Alix, inviato di "Libération”- che consuma l’elettricità di una cittadina di ventimila abitanti e ospita 18 milioni di siti. L’azienda è salita agli onori della cronaca quando si è scoperto che Assange aveva stoccato nei suoi server alcune informazioni. D’altronde Ovh è il più grande hosting di server d’Europa: ospita un sito europeo su sei. Una posizione conquistata in dieci anni e partendo da zero. All’origine dell’impresa una famiglia di immigrati polacchi arrivata in Francia nel 1991 con 5000 dollari in tasca. La famiglia Klaba non è proprio una famiglia come le altre. Henryk, Halina, e i due figli Octave e Miroslaw sono tutti ingegneri. Henryk, "monsieur Klaba”, come tutti lo chiamano, è il presidente. La madre, Halina, si occupa delle finanze. Octave, il vero inventore dell’Ohv, è il direttore generale e Miroslaw è responsabile della ricerca. La famiglia era in Francia già dalla generazione precedente, quella dei genitori di Henryk, che dopo la guerra avevano deciso di tornare in Polonia per partecipare alla ricostruzione. Per poi scoprire che, nonostante fossero francesi, il regime comunista non permetteva loro di tornare in Francia.
Henryk, bloccato in Polonia, negli anni 80 si appassiona alla micro-informatica. Un giorno, uscito per comprare un’automobile, torna con un computer Amstrad. Dopo la caduta del muro, nel 1989, torna la speranza di rientrare in Francia. Consultati i figli, la famiglia vende tutto e nel 1991 riesce a varcare la frontiera. Octave, che all’arrivo non sa una parola di francese, in breve si diploma e inizia ad appassionarsi ai primi rudimenti di internet. A un certo punto inizia a cercare un posto dove mettere il suo sito. Lo trova in Pennsylvania. Il poco che guadagna lo spende per pagare le ore di collegamento. Dall’America però gli fanno sapere che non riescono a star dietro al suo traffico e al volume dei suoi dati. E così Octave prende e, con il suo server sotto braccio, vola negli Usa. All’arrivo lo shock è incredibile: si aspettava una struttura avveniristica e invece trova una casupola di legno con due vecchi computer. Da lì capisce che se è così facile, può farlo anche lui. La cosa decolla quando un imprenditore gli offre uno spazio sotterraneo per installare i suoi server. Riesce così a offrire un servizio assolutamente concorrenziale, grazie soprattutto al fatto che fa tutto lui: dall’assemblaggio delle macchine all’architettura del datacenter. L’ultimo, Roubaix-4, è talmente ben progettato che non ha bisogno di climatizzazione.
(liberation.fr)

23 febbraio 2012. Morire di carcere
Un uomo di 36 anni di Polignano, in provincia di Bari, Ottavio Mastrochirico, si è ucciso nel carcere di Foggia dove era detenuto dal 2010 per una condanna a 16 anni per un omicidio. Il 36enne da qualche giorno si trovava da solo in cella, dopo aver avuto dei problemi con gli altri detenuti. L’altra sera si è impiccato con il cordoncino della sua tuta. Un agente di polizia penitenziaria è intervenuto cercando di salvarlo ma per il detenuto non c’è stato nulla da fare.
L’ultimo suicidio avvenuto in quel carcere risale al novembre 2010, quando il 41enne Raffaele Ferrantino si tolse la vita trasformando i lembi dei pantaloni in un cappio. A Foggia sono in servizio 310 agenti, divisi nei quattro turni lavorativi, mentre ne servirebbero 420-430. Un carcere, quello del capoluogo dauno, che secondo quanto previsto dalla legge dovrebbe contenere 371 detenuti e invece ne ospita anche 800. (Ristretti Orizzonti)

23 febbraio 2012. Batteri
Anche in Gran Bretagna si sta assistendo a un preoccupante aumento delle infezioni antibiotico-resistenti. Il professor Peter Hawkey, microbiologo, ha dichiarato che la resistenza agli antibiotici sta diventando per la medicina qualcosa di equivalente al cambiamento climatico. Sempre più spesso infezioni comuni si trasformano in malattie incurabili. Si stima che nell’Unione europea muoiano ogni anno 25.000 persone per infezioni non trattabili. Si tratta di un problema di dimensioni globali, che come tale va trattato. Dall’inizio del secolo l’incidenza di queste infezioni è passata dall’1% al 10%. Il rapido aumento della presenza dell’Escherichia Coli nel sangue pare essere legato all’invecchiamento della popolazione. L’E. Coli è all’origine delle infezioni urinarie, ma può causare infezioni anche in caso di interventi chirurgici. Quando gli antibiotici non funzionano, si ricorre ai cosiddetti carbapenemi, che rappresentano oggi l’ultima frontiera contro le batteriemie. Il problema è che ora si sono registrati casi di resistenza anche a questi ultimi. In novembre, l’European Centre for Disease Control and Prevention (Ecdc) ha rivelato che il 50% di infezioni da K. pneumoniae (un batterio coinvolto in infezioni del tratto urinario e dell’apparato respiratorio) sono risultate resistenti ai carbapenemi in alcuni paesi europei. Il direttore del centro, Marc Sprenger, ha usato toni allarmanti: "La situazione è critica. Dobbiamo dichiarare guerra a questi batteri”.
Una guerra dall’esito incerto perché i batteri vengono "selezionati” dagli stessi antibiotici: quelli che sopravvivono ai trattamenti infatti aumentano di numero fino a diventare il ceppo dominante. (www.independent.co.uk)

25 febbraio 2012. Cocons
In Francia si chiamano "cocons”, sono i giovani che negli anni di studio o lavoro precario vanno a vivere assieme. Ora però la soluzione sembra stia per essere presa in considerazione anche da un’altra classe di età, gli anziani. Margaux Lannuzel, di "Libération”, parla appunto di questo fenomeno che, per quanto ancora residuale, ha già raggiunto gli schermi con il film da poco uscito "Et si on vivait tous ensemble?”, di Stéphane Robelin. Dal 2007, l’associazione Cocon3s mette in contatto anziani in cerca di coinquilini. Christiane Baumelle, l’ideatore, spiega che il progetto nasce con l’ambizione di trovare soluzioni più solidali e anche più umane per la terza età. Per ora l’esperimento è in corso in sette località, a Chambéry, Nanterre, Angers, tre nel Sud-Est, uno nel Sud-Ovest. Altre sono in gestazione. Già quasi un migliaio di persone ha manifestato il proprio interesse. Margaux Lannuzel è andata a Nanterre a vedere come vivono Charlette, Danièle, Josette, Marie-Odile e Yves, tutti tra i 62 e i 75 anni.
Si sono incontrati a una riunione organizzata dall’associazione Cocon3s. Yves ha acquistato la casa. In teoria l’associazione suggerisce ai potenziali coinquilini di conoscersi bene prima di fare il grande passo. Nei fatti, Charlette e gli altri erano gli unici motivati e quindi la scelta è venuta da sé. Yves, medico in pensione, è convinto che la convivenza faccia bene, soprattutto in un’età in cui è facile lasciarsi andare, trascurarsi. Charlette spiega che gli inquilini non hanno fatto questa scelta pensando di trovare qualcuno che si prenderà cura di loro quando non saranno più autosufficienti, ma per condividere la quotidianità e anche fare dei progetti. C’è chi pativa soprattutto la solitudine, proprio quella "fisica”, della mancanza di una presenza. Ovviamente non è tutto rosa e fiori. La convivenza è pur sempre faticosa. Comunque non si tratta del surrogato di una famiglia: gli inquilini mangiano ciascuno al suo orario; a volte due o tre magari vanno al cinema assieme, non ci sono vincoli, né organizzazione. Danièle avrebbe voluto condividere alcune attività, ma i redditi sono diversi e così i gusti personali. E poi molti preferiscono trascorrere il tempo con il partner: "I vecchi hanno una vita sessuale!”, ci tiene a precisare Danièle. Probabilmente questa formula non rimpiazzerà la casa di riposo e poi molti esitano a lasciare le proprie abitudini, la propria casa, tanto più che la scelta viene fatta quando si sta ancora bene. Non si può parlare di vera amicizia, ma neanche di semplice cortesia. Il rapporto tra queste persone è qualcosa che sta lì nel mezzo. Danièle parla di simpatia, Yves preferisce parlare di una "costruzione progressiva di empatia”. (liberation.fr)

27 febbraio 2012. Fuori del matrimonio
In crescita da cinquant’anni, negli Stati Uniti la quota dei bambini nati fuori dal matrimonio da donne sotto i 30 anni ha superato il 50%.
Nicole Bengiveno ne parla sul "New York Times”, spiegando che se un tempo questa condizione era frequente tra le donne povere e le minoranze, oggi il fenomeno si è diffuso alla classe media. A "resistere” a questa tendenza pare siano solo le laureate che ancora in maggioranza si sposano prima di fare un figlio. Il matrimonio insomma starebbe diventando un "bene di lusso” secondo Frank Furstenberg, sociologo all’Università della Pennsylvania. Ora che le donne lavorano, il matrimonio non è più una "necessità finanziaria”, la convivenza è diventata normale e anche le madri single non sono più così stigmatizzate. Quindi tutto bene? Forse no. Nonostante i dati dicessero da tempo che qualcosa stava cambiando radicalmente, la politica si è a lungo disinteressata del fenomeno e così l’opinione pubblica. Qualcosa è cambiato all’indomani dell’uscita di "Coming Apart”, un libro di Charles Murray, da sempre critico sulle nascite fuori dal matrimonio, che ha riaperto il dibattito. E in effetti la situazione non è proprio così rosea: intanto a nascere fuori del matrimonio è il 73% dei bambini neri, contro il 29% dei bianchi, e poi la scolarizzazione delle madri effettivamente resta una discriminante. Ma quello che preoccupa di più è che, per qualche ragione, in media i bambini che nascono all’interno del matrimonio ricevono una migliore formazione scolastica e ottengono migliori risultati sul piano sociale, cognitivo e anche comportamentale. (nytimes.com)

26 febbraio 2012. Una seconda chance
A Villeurbanne c’è un liceo della "nouvelle chance” che dal 2002 accoglie i giovani dai 18 ai 25 anni che vogliono riprendere gli studi. Catherine Coroller, corrispondente di "Libération”, è andata a incontrare studenti e insegnanti. Déborah Darcet, non sentendosi all’altezza di percorsi più impegnativi, aveva optato per un Bep (Brevetto di studi professionali) con indirizzo sanitario e sociale. Ottenuto il diploma, il suo obiettivo era di fare un Bac in Scienze medico-sociali, ma non è stata accettata. A quel punto ha lasciato la scuola e cercato un lavoro. Dopo qualche impiego come baby-sitter ha capito che non sarebbe andata lontano. Così si è rivolta al liceo della "nuova chance” e a giugno prenderà il suo Bac. Lì si è trovata bene perché non è come la scuola tradizionale, si studia e si lavora e le relazioni con gli insegnanti sono diverse: "Ci trattano come adulti”, spiega Déborah. Gli allievi di questo liceo, in effetti, sono più maturi, ma anche più fragili. Il tutoraggio è a tutto campo e costante, c’è proprio un accompagnamento personalizzato che include anche la figura dello psicologo e dell’assistente sociale. Una scelta pedagogica che sembra premiare la scuola. Oltre il 90% dei giovani adulti che tornano a studiare prendono l’agognato Bac. (liberation.fr)

28 febbraio 2012. Obiezione di coscienza
"Notti di guardia” è un blog collettivo di operatori della sanità. Pubblichiamo stralci della testimonianza di Blue Dolphin in un pomeriggio di guardia a ostetricia.
Da quando lavoro qui non mi era ancora capitato. Mi chiedono se sono obiettrice. Che strano, ogni volta che sento questa espressione: obiezione di coscienza, provo come un fastidio. Obiezione… bellissima parola. Coscienza… ancora più bella, vibrante, dignitosa. Come mai messe insieme non mi fanno più una bella impressione, allora? Come la nutella e la maionese! Sarà qualcosa di personale, senz’altro. Sarà, per esempio, che penso al mio collega della mattina che ha "obiettato”, così che una donna che era qui dalle sette, pronta e digiuna, sta ancora aspettando che qualcuno la chiami. Con i propri pensieri e le proprie paure. Quan­do rispondo: "Scusate ragazze, ma vi sembro un prete o un’anestesista?” vedo facce inacidite intorno a me. Ci siamo tutti, si può chiamare la signora. Non è che sia stato così facile, però: un’ostetrica di sala, obiettrice, è stata sostituita da una del reparto. Idem per il ginecologo. Tutti i presenti hanno esercitato la propria scelta, come prevede la legge. Il che dovrebbe farmi supporre che per tutti noi quello che stiamo per fare è solo un atto medico... La mia supposizione è evidentemente sbagliata. Il clima è un po’ teso, imbarazzato. Vado a conoscere la donna, visita e domande di rito, torno in sala operatoria, annuncio il nome della paziente che sta per entrare e subito si alza un coro di galline: "Ma… è italiana?”. Beh, santiddio, è vero che siamo ormai un melting pot, ma ancora qualche paziente italiana ci è rimasta! "No, sa, è che per fare certe cose, di solito sono straniere…”. "Certe cose”. A 33 anni dalla 194... Colgo sguardi complici e borbottii a mezza voce: "Ma quanti anni avrà?”. La donna se ne accorge ma sta zitta. Urlerei io, in compenso. Sono così imbarazzata per i miei colleghi che non mi basta più fare da sola sforzi di gentilezza alla signora. Che poi, a dirla tutta, non è che l’empatia con i pazienti sia proprio la mia miglior virtù… Mi auguro che il midazolam della premedicazione la immerga nell’oblio e nell’amnesia. E ringrazio il santo propofol, quando il sonno profondo mette un muro tra lei e quell’idiota che dice: "Certo che a quell’età lì una dovrebbe saperlo come si rimane incinte, no?”. Perché, durante un’emicolectomia, non sento mai dire "Certo che di questi tempi lo sanno tutti che le carni rosse e i salumi fanno venire il cancro, no?”. Cinque minuti. Tutto questo teatrino per cinque minuti di intervento... Mi chiedo se sia stato un caso: una congiuntura di persone particolarmente stupide tutte nello stesso turno? Può darsi, conosco tanti colleghi che non si sarebbero comportati così. Ma se un giorno ci fossi io lì, nuda come un verme? Un preservativo bucato, una pillola saltata, una spirale dispettosa... (nottidiguardia.it)

3 marzo 2012. Il dottor Google
A dieci anni dalla legge Kouchner del 4 marzo 2002, volta a promuovere i diritti del malato contro una medicina paternalista e un sistema che tende a infantilizzare i malati, Laetitia Clavreul e Pascale Santi, giornalisti di "Le Monde”, tracciano un bilancio poco entusiasmante degli effetti del provvedimento. Se è sicuramente vero che è cambiato il rapporto medico-paziente perché i malati sono sempre più informati e pretendono di essere coinvolti, resta ancora molto da fare sul versante dell’accesso alla propria documentazione medica. Molti pazienti lamentano infatti la difficoltà di ottenere le proprie cartelle cliniche nel caso, non infrequente, vogliano avere un secondo parere. Ad ogni modo, il medico non ha più l’esclusiva come fonte di informazioni. Il sito Doctissimo conta otto milioni di visitatori unici al mese. Il medico più consultato è diventato così il "dottor Google”, commenta ironicamente Alain-Michel Ceretti, di un’associazione per la difesa dei diritti dei malati. Quindi pazienti più esperti, ma non ancora detentori di diritti a pieno titolo.
(lemonde.fr)

4 marzo 2012. Il New York Medical College
Il New York Medical College nel 2009 ha cambiato affiliazione passando dall’Arcidiocesi di New York al Touro College di Manhattan guidata dal rabbino Moshe D. Krupka. Richard Perez-Pena, che ne ha scritto sul "New York Times”, racconta che un giorno, alla vigilia del passaggio, un dipendente, alla vista del rabbino, gli ha chiesto: "Quando comanderete voi, potrò ancora mangiare un panino al prosciutto?”. Pare che il Moshe D. Krupka abbia risposto in puro stile rabbinico: "Dipende”. "Da cosa?”. "Dipende dal fatto se ti piace o meno il prosciutto”. Certo il cambiamento è stato, almeno apparentemente, meno traumatico del previsto. A parte le mezuza poste davanti a 108 porte (finora) gli studenti non hanno trovato la biblioteca chiusa al sabato.
Il New York Medical College, fondato nel 1860, con i suoi 800 studenti di Medicina fornisce operatori sanitari al Westchester Medical Center e al Metropolitan Hospital in Manhattan. Negli anni 70, in seguito a una crisi finanziaria, il College aveva accettato di essere finanziato dall’Arcidiocesi di New York. Per quanto sottoposto a qualche restrizione, non si era però trasformato in un’istituzione cattolica. Tant’è che i nuovi arrivati si sono sorpresi di non dover togliere crocifissi o cambiare troppo i curricula. Alla fine l’unico campo "colpito” dal periodo cattolico era, come prevedibile, quello della ricerca sulle cellule staminali.
Cos’è cambiato invece con l’affiliazione al Touro? Al di là dei mezuza, pare che l’unica area interessata sia stata la caffetteria, dove il pollo ora viene trattato secondo le regole kosher. Mancando lo spazio per una netta separazione tra carne e latticini, la cucina è stata destinata alla carne e i prodotti che contengono latte e derivati arrivano da fuori, sigillati. Ovviamente c’è anche un’area non kosher. Alla fine c’è stato qualche problema solo per il caffè. Essendo proibito il latte, si è posizionato un tavolo nell’area comune, con gli ingredienti da aggiungere al caffè. Una volta che il latte viene aggiunto alla tazza questa però non può più oltrepassare la linea invisibile che divide la carne dai latticini. La regola è stata spiegata ripetutamente e a parte qualcuno che è stato "placcato” al volo, sembra che il messaggio sia stato recepito. (nytimes.com)

7 marzo 2012. Cash transfer
Nella corsa per soddisfare gli "obiettivi del millennio” la politica del trasferimento di denaro alle donne dei paesi poveri ha certamente portato a dei risultati e tuttavia non le ha emancipate da una condizione segnata dalla non autosufficienza e dal rischio di malattie e di violenza, anche domestica. In America Latina i cosiddetti programmi di "cash transfer” sono vincolati alla garanzia che le donne mandino i bambini a scuola e si sottopongano a controlli sanitari. A parte che in Africa non vengono posti questi vincoli, in generale questa politica mostra sempre più i suoi limiti. Le somme sono comunque troppo basse per innescare un circuito virtuoso. Per interrompere il ciclo della povertà che si trasmette dai genitori ai figli bisogna andare oltre. L’esperienza ci dice che i bambini per crescere bene hanno bisogno di mamme istruite e autonome, non semplicemente meno povere. Purtroppo anche i programmi per l’educazione e la salute delle donne sono anch’essi poveri, tant’è che la mortalità delle donne a causa di patologie assolutamente curabili resta vergognosamente alta. C’è poi il problema dell’irresponsabilità paterna che questi programmi sembrano non prendere nella dovuta considerazione. Alla fine il punto è che le donne vorrebbero i mezzi per uscire dalla povertà, non per gestirla meglio. Per fare questo serve allora un approccio diverso, che miri soprattutto a ridare loro dignità, innanzitutto rendendole più autonome. (guardian.co.uk)

10 marzo 2012. Cheap China
In Cina, potenza manifatturiera mondiale, sono in corso cambiamenti radicali. Oltre all’aumento del prezzo dei terreni, all’introduzione di vincoli ambientali e sulla sicurezza, ciò che avrà gli effetti più dirompenti è l’aumento dei salari dei lavoratori. Nelle aree della costa il costo del lavoro è aumentato fino al 20% all’anno negli ultimi quattro anni. Nel Guangdong anche i colletti bianchi hanno visto aumentare i loro stipendi mediamente del 14%. Ovviamente siamo ancora lontanissimi dai costi del lavoro occidentali, ma il trend è evidente. Inizia inoltre ad apparire chiaro che trovare paesi più convenienti non è così facile, perché se è vero che in Vietnam si può trovare forza lavoro più economica, la catena dei fornitori e le infrastrutture non sono all’altezza, ma soprattutto manca la competenza maturata nei settori hi tech e non solo. Le industrie a bassa tecnologia, quelle che fanno magliette per esempio, hanno già lasciato la Cina. Per le altre, proprio gli aumenti dei salari aprono uno sterminato mercato interno che sta impattando soprattutto le zone dell’interno. Se infatti la costa continua a non aver rivali nelle industrie per l’esportazione, l’entroterra potrebbe svolgere un ruolo propulsivo per il mercato interno. Gli effetti già si vedono: aumentano i cinesi che trovano lavoro vicino a casa, non più costretti a spostarsi verso la costa con gli esodi che abbiamo imparato a conoscere. A conferma che qualcosa sta cambiando, ogni anno sempre più "tartarughe di mare” (così vengono chiamati i cinesi che hanno studiato o lavorato all’estero) tornano a casa.
(economist.com)