Cari amici,
è difficile scrivere da Parigi senza parlare, ancora, di quello che è successo a "Charlie Hebdo”. Nell’immediato l’impatto è stato molto forte, per tutti. Abbiamo vissuto giorni angoscianti: per la paura e per il dispiacere. Ora che è passato un mese sembra tutto così lontano: i mezzi pubblici funzionano, la gente passeggia.
È uno strano inverno soleggiato e mite. La sola differenza sono i militari di Vigipirate, il piano anti-terrorismo; armati e in coppia, li vedi di fronte ai "luoghi sensibili”. Se non fosse per le mimetiche e il mitra sarebbe un fatto discreto, che funziona anche a mo’ di mappa: ho scoperto sinagoghe o sedi di giornali in zone dove passeggio abitualmente che non avevo mai notato. L’inquietudine si sente invece nella cronaca: alcuni dicono che la Francia sta vivendo un momento di isteria collettiva. Non so dire se è vero, penso però che le istituzioni, come i cittadini, abbiamo dei traumi da superare. La République è stata colpita molto duramente, questa volta; oppure era da molto in vacanza, direbbe qualcun altro.
Per tornare alla cronaca: da metà gennaio sono state emesse dai tribunali francesi oltre 50 (al giorno in cui vi scrivo, il 6 febbraio) condanne per "apologia del terrorismo”, un delitto che si configura per "il fatto di provocare direttamente degli atti di terrorismo o di fare pubblicamente l’apologia di questi atti”. Per capirci, per lo stesso delitto sono state emesse solo 20 condanne tra il 1994 e il 2013.
Le pene vanno fino a cinque anni di carcere e 75.000 euro di multa e, nel caso sia stato usato un "servizio di comunicazione on line”, fino a sette anni di carcere e 100.000 euro.
Molti i media che hanno riportato un elenco di queste condanne. Tra i casi segnalati alle autorità avrete sicuramente sentito parlare di Ahmed, il bimbo di 8 anni che a Nizza è stato ascoltato dalla polizia perché, rifiutandosi di partecipare al minuto di silenzio per le vittime degli attentati, ha giustificato la sua "scelta” con la frase "Io sto con i terroristi e contro le caricature”. Stessa sorte è capitata anche ad altri due bambini. Oppure di Jean-François Chazerans, professore di Filosofia in un liceo a Poitiers, che è stato sospeso con la stessa accusa, senza nemmeno sapere quali fossero le frasi "incriminate”. Ne verrà informato solo quando potrà accedere al suo dossier, ovvero un mese prima della riunione del consiglio dell’istituto (a metà marzo) che deciderà del futuro della sua carriera. Per ora è stato sospeso per quattro mesi ed è stata aperta un’inchiesta per "apologia di terrorismo”.
Poi c’è il caso di un cittadino tedesco di cui viene riportato solamente il nome, Oussama, e l’origine, l’Algeria. L’uomo avrebbe insultato un medico usando frasi antisemite ("Hai gli occhi blu, sei ebrea. Hitler non ha finito il lavoro, mi ricordo la tua faccia, tornerò ad ammazzarti”) e avrebbe elogiato le azioni dei fratelli Kouachi e di Coulibaly, sostenendo di essere un terrorista e di voler mettere una bomba sugli Champs-Elysées. Davanti al giudice ha detto di aver preso, quel giorno, 12 compresse di Valium. È stato condannato a 15 mesi di carcere.
C’è poi il caso di un uomo di 28 anni di Bourgoin-Jallieu, nel Sud-Est, che è stato condannato a sei mesi di prigione. Si sa che è affetto da una leggere deficienza mentale; oppure quello di Nourredine, 38 anni, marocchino e con problemi psichiatrici, condannato a tre mesi di prigione. Un altro giovane di 23 anni è stato condannato a 10 mesi per insulti, violenza e minacce di morte. Secondo l’accusa, durante l’arresto era ubriaco. A Orléans, un ragazzo di 20 anni è stato condannato a sei mesi senza condizionale per aver gridato a dei poliziotti fuori da un supermercato "vive la Kalach” imitando il gesto di chi spara su una folla. Si è scusato e si è detto ubriaco al momento dei fatti. A Reims, due uomini sono stati condannati per aver dato dei "bastardi” ai "colleghi [dei poliziotti] di Parigi morti”.
Non sono ancora uscite statistiche ufficiali (i dati che vi riporto arrivano da diversi media: Afp, Rue89, France24, Le Monde), ma nella maggior parte dei casi si tratta di musulmani, di persone con precedenti penali (quasi tutte le condanne sono infatti senza la condizionale) e in più di un caso di persone sotto l’effetto di stupefacenti, alcol o con problemi mentali.
Questa legge, nonostante quello che si dice e nonostante il clima di allarme e di guerra che ci viene imposto, è dello scorso novembre: un articolo che faceva parte della legge sulla stampa (quindi reato civile) è stato integrato nel codice penale. Si tratta della tanto discussa legge anti-terrorismo di Bernard Cazeneuve, pensata, almeno nel dibattito pubblico, per impedire le partenze verso la Siria o l’Iraq.
La legge, approvata in nome della guerra all’Isis, era bell’e pronta a incontrare la storia, a gennaio. Poi, il 12 dello scorso mese, subito dopo le stragi, il Ministro della Giustizia, Christiane Taubira, ha inviato una circolare a tutte le procure della Repubblica dove chiedeva la massima intransigenza nella lotta al terrorismo: "Bisogna punire con la penale più alta e con l’aggiunta dell’aggravante (il carattere razzista o antisemita)”. Nel momento in cui le fondamenta democratiche dello stato sono minacciate, ha scritto la Taubira, «la Nazione deve mostrare unità». Per ora questi sono i risultati. Sui giornali -non tanti, va detto- si è aperto il dibattito: c’è chi parla di "justice exemplaire”, quella di un paese che mostra massima fermezza e vuole dare una risposta chiara e univoca, e chi di "justice d’exception”, ovvero una giustizia "speciale” usata come arma e in maniera indiscriminata.
Se ne riparlerà presto.
Francesca Barca
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