La copertina, dall’Albergheria di Palermo, quartiere di immigrazione, è dedicata ai profughi che l’Europa non vuole accogliere e che fuggono da guerre che minacciano anche noi, ma che l’Europa non vuole combattere.

Torniamo a parlare di Fiat e Wcm, questa volta attraverso la storia di Alexandra Martino, operaia alla Maserati di Grugliasco, entrata in Fiat a vent’anni. Alexandra ci parla della fatica dei primi mesi alla catena, quando il marito era costretto ad aiutarla a fare le scale, degli interventi al polso e alla spalla perché "il lavoro di linea è questo”, ma anche di come si sono trasformati gli stabilimenti in questi anni: il posto di lavoro oggi è pulito e ordinato, non c’è più "l’odore di fabbrica”, gli incidenti sono pressoché scomparsi, l’ergonomia è in continuo miglioramento, il lavoro è organizzato in team di 8-10 operai che possono ad esempio gestirsi autonomamente le assenze. E tuttavia, ridimensionate le malattie legate alla fatica e alla postura, c’è il rischio che al centro del nuovo disagio ci sia un elemento inedito: lo stress.

Lo scorso 7 marzo è entrato in vigore il primo decreto legislativo attuativo del Jobs act. Roberto Romei ci spiega quale sia la filosofia del legislatore: incentivare i contratti a tempo indeterminato, ma anche rendere la reintegrazione un’eccezione, vale a dire che in caso di licenziamento illegittimo, salvo alcuni casi, ci sarà una tutela indennitaria, punto.

In queste settimane si è parlato tanto di "super presidi” che avrebbero potuto decidere i programmi scolastici, chiamare e mandar via insegnanti, premiare arbitrariamente, ecc. Mario Nanni, dirigente scolastico bolognese, articoli della "buona scuola” alla mano, ci spiega che così non è e che anzi, con il nuovo Comitato di valutazione, a decidere in una scuola con più di cento insegnanti rischiano di essere due professori e due genitori; per non parlare del piano assunzioni, che è una palese contraddizione con l’idea di una scuola che premia i più competenti.

Nelle centrali, il "Filo Cafè” di Matera, un gruppo di donne che si ritrovano a lavorare a maglia nei Sassi, perché i figli sono grandi e lontani, perché, a casa, finiti i lavori, si rischia di intristirsi, per la curiosità di imparare punti nuovi, per la soddisfazione di fare un bel lavoro, ma anche per il piacere di stare assieme a persone amiche, con la speranza di riuscire a trasmettere la stessa passione anche alle più giovani.

Nel 40° anniversario dell’indipendenza del Mozambico, Maria Salghetti, infermiera, ricorda il suo impegno negli anni Settanta per formare i guerriglieri che dovevano saper fornire ai feriti una prima assistenza, e poi il colpo di stato in Portogallo, il governo di transizione, i grandi ideali socialisti e comunitari, che però si scontravano col fatto che per realizzarli bisognava obbligare la gente; e, ancora, la nazionalizzazione degli ospedali, le scuole aperte sedici ore al giorno perché tutti dovevano studiare...

"L’idea di cultura è per molti operai associata alla scansia dei libri e alle carte ingombranti i tavolini degli studi regolari e ai titoli accademici, sì che in essi nasce la convinzione che quella degli ‘intellettuali’ sia una specie particolare e che la cultura sia vietata a coloro che non possono sedere degli anni sui banchi di scuola o passare delle mezze giornate in biblioteca. Mentre che, in linea generale, gli ‘intellettuali’, levati dal campo delle conoscenze ed esperienze professionali o degli studi particolari, non sono al di sopra degli operai intelligenti”. Per il reprint, un testo di Camillo Berneri sulla cultura professionale come strumento di emancipazione, uscito nel 1934.