Il femminismo organizza le energie della donna
Non si erano ancora spenti in Italia e fuori gli echi dei memorabili congressi femminili, il Nazionale e l’Internazionale, tenutisi nel maggio scorso a Roma, nei quali si affermarono le brillanti attitudini, la competenza profonda della donna in tutte le questioni sociali, la sua ben intesa pietà verso i deboli e gli oppressi, la sua continua ascensione insomma verso una personalità più alta e più completa, quando si abbatté sull’Europa l’uragano tremendo che doveva sconvolgerne tutte le più nobili forme di civiltà e di progresso e richiamare i più bassi e torbidi istinti dell’uomo a dominare e sopraffare le sante leggi della bontà e della giustizia. Che poteva fare la donna in questo spaventoso e veramente biblico furore d’odio e di sangue, se non chinarsi fremente e sperduta sui vinti, sugli innocenti colpiti, sugli inermi senza difesa, sui moribondi, su quanti invocarono da lei aiuto e protezione in quella lotta spietata? E tutto ciò ella fece, sbigottita dapprima, non sicura delle sue forze, rincuorata poi, con tutte le energie tese verso l’immane impresa che lei sola poteva compiere. Il mirabile edificio della sua riabilitazione, costrutto pietra per pietra, affrontando l’incredulità e talvolta l’inimicizia degli uomini, venne abbandonato senza rimpianto, per correre in aiuto di quegli stessi avversari che impedivano alla donna, la quale altro non chiedeva se non di condividere la loro esistenza di dignità e di lavoro, di rompere le sue ultime catene. [...]

L’eroismo della Regina del Belgio
Il primo incendio, come ognuno ricorda, divampò nel Belgio, l’eroico piccolo paese che fece da baluardo ai fratelli francesi, perché l’orda germanica potesse trovare serrate e pronte le schiere dei loro difensori. Sopra tutte le valorose e straziate donne belghe, si levò la nobilissima figura della Regina Elisabetta, che con una salute cagionevole seguì il valoroso suo Compagno anche dove maggiore era il pericolo, vivendo la rude e faticosa vita del campo. Tutte le ambulanze l’ebbero assidua visitatrice, e non un ferito belga rimase senza il conforto del suo dolcissimo sorriso. Nata e cresciuta in Germania, la fragile e forte Regina, pur sapendo di avere nell’esercito invasore parenti e amici, non esitò un momento a comprendere da quale parte era il diritto e si sentì orgogliosa di appartenere alla nobile e piccola Nazione, sopraffatta così vergognosamente e brutalmente da un paese grande e potente.
Un solo particolare basterà a far comprendere come la Sovrana sia profondamente amata dal suo popolo. Il Belgio era uno dei paesi ove il partito socialista contava il maggior numero di proseliti; nei primi giorni della guerra, la Regina si recò sola a visitare l’ambulanza installata nella "Casa del Popolo” di Bruxelles, e penetrò nella sala ove in tempo di pace venivano pronunciate le più gravi parole di ribellione alla Monarchia; ebbene, appena ella comparve sulla soglia, un interminabile applauso l’accolse, un applauso così unanime come non lo ebbe mai nessun tribuno e il capo dei socialisti, Guesde, ebbe per l’augusta ospite parole di ammirazione commossa.
Negli ultimi Congressi le donne italiane ebbero occasione di incontrarsi con signore belghe e poterono apprezzare quanto esse andavano compiendo nel loro paese in fatto di educazione dei fanciulli, di igiene, di agricoltura, di previdenza sociale; non v’era questione a cui non si interessassero vivamente, di modo che il Belgio era fra i paesi femministi uno dei più avanzati. Tutto questo meraviglioso lavoro è ora spezzato, distrutto, e le donne belghe che malgrado il loro strazio personale, rimasero nelle città invase, condussero per mesi e mesi un’oscura ed eroica vita di coraggio e d’abnegazione. Talune, come la consorte del valoroso borgomastro Max, conobbero persino le torture della prigione.

Il cappellino patriottico di Bruxelles
Non potendo qui enumerare tutti gli esempi di eroismo, di carità e di attività delle donne belghe, ci limiteremo a raccontare un piccolo aneddoto eloquente: le modiste di Bruxelles, dopo l’invasione, avevano ideato un cappellino di forma militare sorretto da un lato da una coccarda tricolore; in breve tempo esso divenne popolarissimo, ma le autorità tedesche lo vietarono senz’altro. Nessuna signora però seguì quell’ordine e col pericolo di perdere la libertà, tutte continuarono a portare il cappellino patriottico; una giovane donna se lo sentì strappare di t ...[continua]

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