Cari amici,
ascolto con ansia crescente i suoni prodotti dalla caldaia di casa mia. Sta diventando davvero rumorosa: va su di giri con una tosse sibilante e poi sferraglia con uno scoppio d’asma per scaldare acqua e radiatori. È la stagione del freddo. Le previsioni hanno iniziato a parlare del gelo, e noi sappiamo che da ora in avanti scivoleremo nell’inverno e che sarebbe un disastro se le caldaie decidessero di averne avuto abbastanza. Il problema della mia è il «kettling»: un accumulo di calcare nel profondo del suo ventre pieno d’acqua calda. È vecchia e, come gran parte del sistema energetico nazionale, sta esalando gli ultimi respiri: ha urgente bisogno di riparazioni. Purtroppo una caldaia nuova costa cara, proprio come il rinnovo delle nostre infrastrutture energetiche; rinnovo che, insieme ai rincari dell’energia elettrica, è una questione politica scottante.
Nonostante sugli alberi si attardi ancora qualche foglia, l’autunno è quasi passato e tutti sanno che sta arrivando il freddo. Il calo delle temperature può essere intenso e polare, e verrebbe spontaneo pensare che qualsiasi governo abbia l’obbligo legale di mantenere alti gli standard dell’industria energetica e più sostenibili i costi del riscaldamento delle abitazioni. In passato, la fornitura di energia elettrica fu nazionalizzata com’era accaduto per l’acqua: venivano considerate mezzi di sopravvivenza, non opportunità di lucro; ma alla fine, sotto il governo Thatcher, acqua ed energia furono privatizzate così come altre industrie statali.
Considerando gli aumenti oltre la soglia dell’inflazione nelle bollette di acqua ed energia elettrica, si stima che i costi del riscaldamento delle abitazioni continueranno a salire per altri diciassette anni. Da come stanno le cose, alla luce degli ultimi rincari, tutta quella gente a reddito fisso basso dovrà fare una scelta: mangiare o scaldarsi. Questo mese le più importanti aziende energetiche hanno applicato un aumento dei prezzi al consumo che oscilla fra l’8% e il 10%, e tutto questo va a sommarsi ai rincari precedenti.
Come ha osservato una mia amica dopo la prima impennata dei prezzi dell’energia, «I poveri torneranno ad aver freddo». Lo spettro del freddo sta già infestando indisturbato le nostre case, ma la parte più spaventosa di questo racconto invernale è che non è possibile scorgerne il finale.
Stando ai dati delle ricerche del consiglio dei sindacati, negli ultimi dieci anni gas ed elettricità hanno alzato il tasso d’inflazione di quattro volte. I costi dell’energia sono cresciuti del 152% dal settembre 2003 al settembre 2013, se confrontati ai dati governativi, a un aumento del 43% nel prezzo del cibo e al tasso dell’inflazione al 36% calcolato nello stesso periodo dall’indice dei prezzi al consumo.
Il National Audit Office stima che entro il 2030 il costo del riscaldamento domestico salirà del 18% oltre il tasso d’inflazione, mentre quello dell’acqua del 28%. Sembra davvero non esserci una fine.
Le cause e i costi di questa sciagura sono dovuti in parte alla mancanza di investimenti nelle infrastrutture, cosa che ci riporta indietro di decenni, ma anche -e in questi frangenti più che mai- all’opprimente necessità di far fronte ai cambiamenti climatici. I margini di utile degli azionisti e le indennità e i salari gonfiati dovrebbero essere l’ultimo dei nostri problemi.
Ed Davey, segretario liberaldemocratico all’Energia, ha chiesto alle aziende energetiche di non trattare i consumatori britannici come "mucche da soldi”, come occasioni da sfruttare. Il governo ha affermato che farà il possibile per mantenere basse le bollette. Ed Milliband, leader del partito laburista, ha promesso un blocco dei prezzi per 20 mesi; un sollievo a breve termine, ma non una risposta concreta. Il governo sta riesaminando quelle parti delle bollette elettriche che si riferiscono all’energia verde e rinnovabile, nella speranza di ridurre l’imposta e passarla alla tassazione generale. Questo è il momento migliore per potenziare seriamente gli investimenti nelle forme di energia verdi e rinnovabili. Nel mio racconto invernale il profitto privato dovrebbe essere a supporto dello sviluppo delle tecnologie pulite e sostenibili o di forme pratiche e concrete di produzione energetica. Perdere questo slancio verso l’energia pulita e rinnovabile sarebbe un grosso rischio; siamo vicinissimi a spegnere per sempre la luce del nostro pianeta.
Lo scorso inverno il freddo ha ucciso 24.000 pensionati; una conta dei morti che supera quella di un Paese come la Finlandia, dove sanno cosa dev’essere fatto e dove il riscaldamento non è dato per scontato.
Mentre la neve viene pronosticata da un turbine di titoli di quotidiani, mentre la gente osserva gli alberi carichi di bacche e prevede un inverno più rigido del solito, vediamo emergere una certa nostalgia pratica. Nelle biblioteche pubbliche si stanno tenendo dei circoli di lavoro a maglia, dove la gente viene invitata a lavorare ai ferri e fare quattro chiacchiere. Le vecchie generazioni, con il loro sapere e la loro arte d’arrangiarsi, per far fronte alle difficoltà stanno acquistando nuovo valore. Si cercano alternative e nuovi metodi per risparmiare sull’energia usata per il commercio e tornano alla ribalta i ricordi di come si faceva un tempo, nei lontani anni ’70, quando la gente trovava il modo di farcela nonostante gli scioperi dell’energia elettrica. Io ricordo che mia madre costruiva delle lampade usando dei vasetti di vetro, dello spago e dell’olio da cucina; un anziano vicino di casa che aveva costruito una casseruola con un contenitore di paglia; un giovane papà che faceva un esperimento con delle lattine di alluminio dipinte di nero, riempite d’acqua e messe a scaldare al sole. La gente, se non altro, cercava soluzioni con ingegnosità e immaginazione.

©Belona Greenwood
(traduzione a cura di Antonio Fedele)