Una legge va sempre rispettata oppure si rispetta solo quando fa comodo?
Quando a Socrate i discepoli proposero la fuga dopo aver già corrotto il carceriere, lui scelse di non scappare e bevve la cicuta. Perché lo fece? Aveva la possibilità di rimediare all’errore degli esseri umani che lo condannarono a morte attraverso la giustizia e le sue leggi. Ma non lo fece, preferì morire. Subito dopo la sua esecuzione i Greci si resero conto di aver commesso il più grande errore che oggi, a buon diritto, dopo la crocifissione di Cristo, può essere definito il più grave errore della storia umana. Se Socrate fosse fuggito, i Greci avrebbero capito lo stesso che era stato un errore condannarlo? Forse sì, oppure no, non possiamo dirlo con certezza.
Socrate scelse di morire, non per far sentire in colpa le sue genti, ma per non andare contro quelle leggi che tanto amava. Fuggendo avrebbe messo in discussione quelle stesse leggi che un popolo si dà e che per questo, anche se a volte sono scomode, vanno rispettate, e non soltanto quando fanno comodo. Le leggi stesse potrebbero presentarsi davanti a lui e rimproverarlo di ribellarsi a un’autorità dello Stato, accettata del resto nel corso della sua vita. Non è il caso di riportare qui il bellissimo dialogo tra Socrate e Critone, il discepolo che gli propose la fuga, anche se sarebbe molto costruttivo. Il succo di questo lungo e straordinario dialogo fra il maestro e il suo discepolo è che comunque una legge va rispettata sempre. Non farlo, lo stesso concetto di legge, di giustizia, di civiltà perderebbe di senso.
L’articolo 22 del codice penale italiano è una norma di legge che regola il modo in cui un ergastolano deve scontare la sua pena. Quando i magistrati di sorveglianza sono chiamati a far rispettare tale legge, scrivono: "L’art.22 c.p. è una norma di legge tassativa che non prevede forme di deroga da parte dell’amministrazione penitenziaria”. Quella "norma di legge tassativa” ha un significato abbastanza chiaro, non c’è pericolo di fraintenderla o addirittura di non comprenderla, a meno di non essere cerebrolesi. Ma, ogni volta, in carceri diversi sorge lo stesso problema. L’amministrazione penitenziaria fa di tutto per eludere una precisa legge. Qui, nel carcere di Milano Opera, fino ad oggi, almeno per quella fascia di detenuti considerati pericolosi, l’articolo 22 del codice penale è stato rispettato. Fino a quando qualche ben pensante non ha deciso che, tutto sommato, basterà ammassare i detenuti dell’AS1 in un’unica sezione, ed ecco che per magia, come un prestigiatore che tira fuori un coniglio dal cilindro, ricava 50 posti letto, noncurante che per questo gioco di prestigio dovrà infrangere una norma tassativa.
Nelle prossime settimane tutto il nostro padiglione dovrà spostarsi in un altro padiglione, e quelli che sono lì, i cosiddetti "comuni”, passeranno nel nostro. In questo passaggio l’amministrazione penitenziaria, che sia quella locale o nazionale, vorrebbe guadagnarci 50 posti in più, accatastando gli ergastolani tutti in una unica sezione, messi di conseguenza in due per cella e violando l’art. 22, appunto, che obbliga all’isolamento notturno. In più, in due in una cella pensata per una sola persona, dove lo spazio non è certo uno dei pregi… Tanto per fare un esempio, il bagno è così piccolo che per piegarti in avanti e lavarti il viso sul lavandino devi aprire la porta alle tue spalle, altrimenti non puoi piegarti. Questo è il quadro. Avete presente i box delle scuderie, dove si vedono tutte quelle teste di cavalli messi infila che escono fuori dalla porta? Beh, quella di certo è una bella vista... La differenza è che a loro dai box escono fuori le teste, mentre se si passa di mattino nei corridoi delle sezioni, quando tutti si stanno lavando la faccia nel lavandino, si vede che a noi fuori dalla porta del bagno-box escono i culi. Queste celle sono già abbastanza umilianti per una sola persona, pensate come potrebbero essere se abitate da due. Messa un’altra branda rimarrebbe dalla finestra alla porta del bagno un corridoio non più largo di 60 centimetri, e uno "spiazzo” di due metri per un metro davanti al cancello. Due persone non potranno stare contemporaneamente in piedi.
Per detenuti abituati a stare da soli in cella da non meno di 20 anni quello spazio, seppur angustio e spesso umiliante, è diventato l’unico mondo vivibile e irrinunciabile. Sarebbe non solo un oltraggio alla dignità del detenuto, ma da criminali violare una legge per convenienza, incuranti del male che verrebbe inflitto.
Gli esseri umani hanno uno "spazio vitale” personale, intimo, che non può essere violato se non con il proprio consenso. Pensate all’abbraccio fra due persone; ciascuno viola lo spazio dell’altro (lo spazio vitale), ma con reciproco consenso. A volte questo spazio viene violato con tacito consenso, come quando ad esempio si sale su un pullman affollato, ma è tolleranza che si sa destinata a durare poco. Ma se quello stesso spazio vitale venisse violato, che so, mentre siete fermi ad aspettare lo stesso pullman, verrebbe percepito come aggressione alla persona.
Ancora un motivo del perché non si debba violare una norma di legge tassativa. La detenzione non è una vacanza, è la soppressione sistematica dell’individuo in quanto uomo, l’allontanamento da una società democratica per un regime più o meno totalitario. Spesso si è costretti a sottostare a regolamenti che non lasciano spazio a una logica che li possa giustificare. Di conseguenza il detenuto è costretto a subire il carcere e non "viverlo” in conformità con quelle stesse leggi che regolano la carcerazione.
È già difficile vivere in queste condizioni per quei detenuti che, tutto sommato, hanno un fine pena e possono concentrare tutta la loro forza di sopravvivenza nell’attesa del termine. Un ergastolano non ha una scadenza pena, non ha un punto fermo nel tempo e nello spazio da cui trarre forza per sopravvivere. È costretto a crearsi un mondo fittizio, tutto suo e lo fa all’ombra della sua solitudine.
Nel momento in cui questo mondo viene violato con la forza introducendo un altro detenuto nel suo spazio vitale, crolla quel mondo che, seppur fittizio, fatto di illusioni, di false speranze, con l’unica realtà di una privacy inviolabile, è unica fonte di forza per sopravvivere a una pena che non ha fine.
Più di venti anni di solitudine non possono essere cancellati con un colpo da prestigiatori.
Se oggi non siamo disposti a spartire quel poco spazio in cui viviamo, non è per un "capriccio” dell’ergastolano. Il nostro isolamento è stato imposto dalle leggi italiane. In 20, 25, 30 anni di carcere siamo sempre stati giudicati così pericolosi da non poter condividere nulla con altro essere umano, ma solo con i propri fantasmi. Credetemi, io e i miei fantasmi siamo già troppi. Una cella davvero affollata.
Non c’è e non debbono esserci convenienze, una legge, in quanto tale, va sempre rispettata. Se accettassi di scontare la mia pena all’ergastolo in una cella doppia, sarei complice di chi l’art 22 c.p. l’ha voluto. E io non ho intenzione di violare una legge che per 23 anni ha fatto comodo a chi me l’ha imposta e che adesso, sempre per comodità, vorrebbe violarla.
Alfredo Sole
Carcere di Opera
Quando a Socrate i discepoli proposero la fuga dopo aver già corrotto il carceriere, lui scelse di non scappare e bevve la cicuta. Perché lo fece? Aveva la possibilità di rimediare all’errore degli esseri umani che lo condannarono a morte attraverso la giustizia e le sue leggi. Ma non lo fece, preferì morire. Subito dopo la sua esecuzione i Greci si resero conto di aver commesso il più grande errore che oggi, a buon diritto, dopo la crocifissione di Cristo, può essere definito il più grave errore della storia umana. Se Socrate fosse fuggito, i Greci avrebbero capito lo stesso che era stato un errore condannarlo? Forse sì, oppure no, non possiamo dirlo con certezza.
Socrate scelse di morire, non per far sentire in colpa le sue genti, ma per non andare contro quelle leggi che tanto amava. Fuggendo avrebbe messo in discussione quelle stesse leggi che un popolo si dà e che per questo, anche se a volte sono scomode, vanno rispettate, e non soltanto quando fanno comodo. Le leggi stesse potrebbero presentarsi davanti a lui e rimproverarlo di ribellarsi a un’autorità dello Stato, accettata del resto nel corso della sua vita. Non è il caso di riportare qui il bellissimo dialogo tra Socrate e Critone, il discepolo che gli propose la fuga, anche se sarebbe molto costruttivo. Il succo di questo lungo e straordinario dialogo fra il maestro e il suo discepolo è che comunque una legge va rispettata sempre. Non farlo, lo stesso concetto di legge, di giustizia, di civiltà perderebbe di senso.
L’articolo 22 del codice penale italiano è una norma di legge che regola il modo in cui un ergastolano deve scontare la sua pena. Quando i magistrati di sorveglianza sono chiamati a far rispettare tale legge, scrivono: "L’art.22 c.p. è una norma di legge tassativa che non prevede forme di deroga da parte dell’amministrazione penitenziaria”. Quella "norma di legge tassativa” ha un significato abbastanza chiaro, non c’è pericolo di fraintenderla o addirittura di non comprenderla, a meno di non essere cerebrolesi. Ma, ogni volta, in carceri diversi sorge lo stesso problema. L’amministrazione penitenziaria fa di tutto per eludere una precisa legge. Qui, nel carcere di Milano Opera, fino ad oggi, almeno per quella fascia di detenuti considerati pericolosi, l’articolo 22 del codice penale è stato rispettato. Fino a quando qualche ben pensante non ha deciso che, tutto sommato, basterà ammassare i detenuti dell’AS1 in un’unica sezione, ed ecco che per magia, come un prestigiatore che tira fuori un coniglio dal cilindro, ricava 50 posti letto, noncurante che per questo gioco di prestigio dovrà infrangere una norma tassativa.
Nelle prossime settimane tutto il nostro padiglione dovrà spostarsi in un altro padiglione, e quelli che sono lì, i cosiddetti "comuni”, passeranno nel nostro. In questo passaggio l’amministrazione penitenziaria, che sia quella locale o nazionale, vorrebbe guadagnarci 50 posti in più, accatastando gli ergastolani tutti in una unica sezione, messi di conseguenza in due per cella e violando l’art. 22, appunto, che obbliga all’isolamento notturno. In più, in due in una cella pensata per una sola persona, dove lo spazio non è certo uno dei pregi… Tanto per fare un esempio, il bagno è così piccolo che per piegarti in avanti e lavarti il viso sul lavandino devi aprire la porta alle tue spalle, altrimenti non puoi piegarti. Questo è il quadro. Avete presente i box delle scuderie, dove si vedono tutte quelle teste di cavalli messi infila che escono fuori dalla porta? Beh, quella di certo è una bella vista... La differenza è che a loro dai box escono fuori le teste, mentre se si passa di mattino nei corridoi delle sezioni, quando tutti si stanno lavando la faccia nel lavandino, si vede che a noi fuori dalla porta del bagno-box escono i culi. Queste celle sono già abbastanza umilianti per una sola persona, pensate come potrebbero essere se abitate da due. Messa un’altra branda rimarrebbe dalla finestra alla porta del bagno un corridoio non più largo di 60 centimetri, e uno "spiazzo” di due metri per un metro davanti al cancello. Due persone non potranno stare contemporaneamente in piedi.
Per detenuti abituati a stare da soli in cella da non meno di 20 anni quello spazio, seppur angustio e spesso umiliante, è diventato l’unico mondo vivibile e irrinunciabile. Sarebbe non solo un oltraggio alla dignità del detenuto, ma da criminali violare una legge per convenienza, incuranti del male che verrebbe inflitto.
Gli esseri umani hanno uno "spazio vitale” personale, intimo, che non può essere violato se non con il proprio consenso. Pensate all’abbraccio fra due persone; ciascuno viola lo spazio dell’altro (lo spazio vitale), ma con reciproco consenso. A volte questo spazio viene violato con tacito consenso, come quando ad esempio si sale su un pullman affollato, ma è tolleranza che si sa destinata a durare poco. Ma se quello stesso spazio vitale venisse violato, che so, mentre siete fermi ad aspettare lo stesso pullman, verrebbe percepito come aggressione alla persona.
Ancora un motivo del perché non si debba violare una norma di legge tassativa. La detenzione non è una vacanza, è la soppressione sistematica dell’individuo in quanto uomo, l’allontanamento da una società democratica per un regime più o meno totalitario. Spesso si è costretti a sottostare a regolamenti che non lasciano spazio a una logica che li possa giustificare. Di conseguenza il detenuto è costretto a subire il carcere e non "viverlo” in conformità con quelle stesse leggi che regolano la carcerazione.
È già difficile vivere in queste condizioni per quei detenuti che, tutto sommato, hanno un fine pena e possono concentrare tutta la loro forza di sopravvivenza nell’attesa del termine. Un ergastolano non ha una scadenza pena, non ha un punto fermo nel tempo e nello spazio da cui trarre forza per sopravvivere. È costretto a crearsi un mondo fittizio, tutto suo e lo fa all’ombra della sua solitudine.
Nel momento in cui questo mondo viene violato con la forza introducendo un altro detenuto nel suo spazio vitale, crolla quel mondo che, seppur fittizio, fatto di illusioni, di false speranze, con l’unica realtà di una privacy inviolabile, è unica fonte di forza per sopravvivere a una pena che non ha fine.
Più di venti anni di solitudine non possono essere cancellati con un colpo da prestigiatori.
Se oggi non siamo disposti a spartire quel poco spazio in cui viviamo, non è per un "capriccio” dell’ergastolano. Il nostro isolamento è stato imposto dalle leggi italiane. In 20, 25, 30 anni di carcere siamo sempre stati giudicati così pericolosi da non poter condividere nulla con altro essere umano, ma solo con i propri fantasmi. Credetemi, io e i miei fantasmi siamo già troppi. Una cella davvero affollata.
Non c’è e non debbono esserci convenienze, una legge, in quanto tale, va sempre rispettata. Se accettassi di scontare la mia pena all’ergastolo in una cella doppia, sarei complice di chi l’art 22 c.p. l’ha voluto. E io non ho intenzione di violare una legge che per 23 anni ha fatto comodo a chi me l’ha imposta e che adesso, sempre per comodità, vorrebbe violarla.
Alfredo Sole
Carcere di Opera