qualche giorno fa ho scoperto che avrei potuto votare anch’io al referendum sul futuro politico della Catalunya. Ho accolto la notizia con un certo stupore, ma anche con un grado di intima soddisfazione: da circa tre anni ormai, vivo le tensioni tra Spagna e Catalunya da osservatore esterno residente a Barcelona, circondato da amici catalani e catalanisti, inconsapevole di stare gradualmente acquisendo diritti politici. Non saprei bene come spiegarvelo, ma credo di aver provato una sottile sensazione di piacere all’idea di poter esprimere la mia opinione. Mistero della democrazia.
Sembrava che il problema sul se e come votare e il rischio di compromettere amicizie storiche non si ponesse. Praticamente subito dopo il decreto che annunciava il voto, il Tribunale Costituzionale aveva accettato il celerissimo ricorso di Madrid, sospendendo il referendum per incostituzionalità. Il succo della decisione è che una parte della popolazione non può esprimersi sul futuro di un intero Stato. Da parte sua, il governo catalano sostiene si tratti di un referendum consultivo e non vincolante e che una nazione in una democrazia matura dovrebbe poter avere il diritto di dire la propria sul proprio futuro. Così, volente o nolente, ha dovuto indietreggiare, almeno formalmente, sospendendo la campagna informativa sul voto del 9 novembre, il #9N.
La popolazione catalana però, aizzata da anni di campagne e di informazione monotematica, non dava segni di voler cedere sul proprio "diritto a decidere” e sul proprio diritto di sovranità. Subito dopo la sospensione, fuori da tutti i Comuni catalani decine di migliaia di persone sfidavano la pioggia torrenziale e il Tribunale costituzionale. I partiti tradizionalmente indipendentisti, come Esquerra Republicana (secondo le ultime elezioni europee il primo partito in Catalunya) e la Cup (un partito assembleare precursore degli indignados), invocavano la disobbedienza civile e chiedevano di continuare con l’organizzazione del referendum. Convergencia i Unio, partito tradizionalmente moderato, che sotto la guida di Artur Mas ha assunto posizioni più marcatamente indipendentiste, si trova sempre più spiazzato e diviso tra legalità e disobbedienza. Ma, come direbbero tra di loro, senza alcuna intenzione di ammainare le vele.
Negli ultimi anni, il governo centrale di Mariano Rajoy ha risposto alle richieste della Generalitat per una maggiore autonomia fiscale con rumorosi silenzi o con degli espliciti "non se ne parla”, appellandosi alle norme vigenti per affrontare un problema squisitamente politico. La Catalunya contribuisce al prodotto interno lordo spagnolo più di quanto riceva dalle politiche di ridistribuzione fiscale. E questo è un fatto. Com’è evidente, in periodo di crisi, quella che è percepita dalla popolazione come un’ingiustizia si acuisce di fronte ai tagli alla sanità, alla scuola e ai servizi pubblici. Negli ultimi anni, Artur Mas ha fatto di tutto per indirizzare i segni d’insofferenza sociale contro il centralismo spagnolo, alimentando l’insoddisfazione storica dei catalani e delle sue ricche classi dirigenti verso lo Stato spagnolo. La parola "indipendenza” è recitata ovunque come un mantra libera tutti; le bandiere indipendentiste sui balconi delle città si sono moltiplicate; la difesa e la promozione dell’identità e della lingua catalana sono evocate in qualsiasi manifestazione locale e nazionale e non c’è programma radiofonico o televisivo che non parli della differenza catalana.
Da osservatore italiano, per di più meridionale, faccio fatica a simpatizzare verso un movimento nazionalista e indipendentista che fa della propria capacità produttiva una giustificazione delle proprie aspirazioni nazionali. Ma sarei ingiusto se facessi l’errore grossolano di associare il caso catalano a quello, ad esempio, del Nord-Italia.
È abbastanza evidente che la tensione che si sta vivendo si struttura su questioni economiche e geopolitiche, simili a quelle di cui ha parlato sul vostro giornale Piero Bassetti. Ma la relazione tra la Catalunya e Madrid si basa innanzitutto su una tensione culturale che dura da vari secoli e che si traduce in regolari differenze di visioni praticamente su ogni cosa. Per farvi un esempio, se andate sulla versione catalana di Wikipedia, scoprirete che la Catalogna è un paese europeo costituito in comunità autonoma spagnola. La versione spagnola, invece, recita che la Catalogna è una comunità autonoma spagnola, riconosciuta com ...[continua]
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