Sergio Segio, dell’associazione SocietàINformazione, è promotore della Federazione nazionale dei giornali del e sul carcere e membro del direttivo della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia. Recentemente ha pubblicato Una vita in Prima Linea, Rizzoli 2006. E’ in uscita il Rapporto sui diritti globali 2007, da lui curato.

Le Brigate Rosse sono tornate per l’ennesima volta. Tu lo avevi previsto esattamente, compreso il rischio di infiltrazione nel sindacato. Come vedi questa capacità di riprodursi e rilevi delle novità, per esempio, nel fatto che sono quasi tutti giovani operai?
Io credo che anche riguardo a questo problema, si rischi di prendere la scorciatoia delle risposte semplici, che trovano una sola motivazione. In realtà, come sempre, sono diversi i fili di ragionamento che si intrecciano e che spiegano perché ciclicamente ci sia una riproduzione del fenomeno armato o, quanto meno, delle velleità che vorrebbero riproporlo.
Già l’altra volta avevo detto che è un po’ improprio parlare di “nuove Brigate Rosse”, perché anche quelle erano a tutti gli effetti continuatrici, non già fisicamente (quasi mai fisicamente, anche in questo ultimo ciclo di arresti solo un paio derivano per età anagrafica, per esperienza vissuta, dai precedenti ambienti delle organizzazioni armate) ma appunto dal punto di vista ideologico, di proposta politica organizzativa, delle prime Brigate Rosse. Per questi ultimi vale lo stesso e mi sembra far torto, oltre che alla loro identità, alla nostra capacità di capire, dire che sono strani soggetti venuti dal nulla. No, quelli sono i continuatori in sedicesimo della storia e della proposta delle Brigate Rosse e se possono esistere oggi, nel 2007, a trent’anni di distanza, è perché quella storia non è stata mai compiutamente archiviata dalle vecchie Brigate Rosse. E’ una storia che nei primi anni ‘80 è andata esaurendosi sotto le spinte della crisi interna, degli arresti dei militanti e dell’estendersi del fenomeno del pentitismo, ma non è mai arrivata a un punto conclusivo, formalmente conclusivo intendo. Ci sono stati, nell’ 87 e nell’ 88, dei momenti pubblici in cui alcune delle figure più rappresentative dell’originaria storia delle Brigate Rosse hanno pubblicamente detto che quell’esperienza era finita, ma non c’è stato quel percorso che facemmo invece noi come Prima Linea, quando, con una vera e propria conferenza di organizzazione, dichiarammo ufficialmente sciolta l’organizzazione e consegnammo le armi rimaste. Questo non per amore di ufficialità, anzi (semmai a essere molto più attenti alle forme sono sempre stati i brigatisti) ma perché avevamo la consapevolezza che, così come ci si era assunti la responsabilità di cominciare quel percorso, bisognava assumersi una responsabilità esplicita, pubblica, di dichiararlo chiuso e spiegarne i motivi. E questi motivi non stavano solo nella sconfitta della lotta armata e nel fatto che andavamo tutti in carcere (molti delle Br hanno detto: “Siamo sconfitti”, ma nel senso:“Per il momento siamo stati sconfitti, ma appena avremo la forza riprenderemo”); il punto era che quella scelta era stata sbagliata, si era rivelata controproducente e terribilmente povera rispetto al desiderio di cambiamento della realtà. La nostra esperienza, iniziata nella convinzione, con Von Clausewitz, che la guerra in certi momenti diventi la continuazione della politica con altri mezzi, si concludeva con la constatazione che la guerra diventava alternativa alla politica, fagocitava la politica, le sottraeva spazio, uno spazio che poi non era più disposta a restituire.
Tutto ciò per dire che la mancanza di un dibattito serio, approfondito, collettivo, ha lasciato in qualche modo aperta la possibilità che la scelta della lotta armata potesse essere di nuovo teorizzata. Insomma, c’è un filo di continuità, che non è tanto relazionale, fra le persone, quanto sul piano della proposta politico-organizzativa e della cultura retrostante, quella della rivoluzione violenta e della presa del potere.
In questi mesi si è rievocato il 77, anno importante…
In fondo il movimento del 77, da cui noi non provenivamo essendo venuti su nei gruppi della sinistra extra-parlamentare dei primi anni 70, chi in Lotta Continua chi in Potere operaio, è il movimento che più ha rappresentato le nostre analisi, teorie e letture.
Nel movimento si arrivò a teorizzare il superamento del tipico modello novecentesco della “presa del potere”, in nome, semmai, di ...[continua]

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