Marco Mantello è ricercatore all’Università La Sapienza di Roma. Ha scritto una monografia e alcuni saggi in tema di contratti e di tutela civile contro le discriminazioni. Ha da poco concluso un secondo lavoro monografico, dedicato ai rapporti fra mercato e solidarietà. E’ stato per due anni redattore della rivista letteraria Nuovi argomenti.

Cosa significa “concorrenza perfetta”? Esiste in qualche misura nella realtà o forse si è affermato solo un mito della concorrenza?
L’idea di concorrenza implica innanzitutto un modo di concepire i comportamenti umani o i sentimenti morali delle persone. Qui dobbiamo distinguere le concezioni giusnaturaliste di Adam Smith, incentrate sul concetto di “simpatia” oltre che sulla valorizzazione di un’etica dell’egoismo come motore dell’efficienza economica, e le concezioni utilitariste di Bentham e Mill. E’ il principio di utilità teorizzato da questi ultimi autori -l’idea che ciascun individuo persegua il proprio interesse secondo regole di coerenza interna fra mezzi e fini- a divenire centrale nelle analisi degli economisti. Con l’avvento della teoria neoclassica la concorrenza si formalizza come un modello teorico e astratto di mercato. Mentre Marshall e Wicksell ritenevano che in concorrenza perfetta si raggiunge l’efficienza economica solo se vi è un’adeguata distribuzione iniziale del reddito, è con Pareto che il modello della concorrenza perfetta diviene sinonimo di efficienza.
Questo a prescindere sia dal profilo della distribuzione iniziale della ricchezza, sia dalla possibilità di effettuare confronti interpersonali fra le varie percezioni che ciascun individuo abbia del proprio “utile”. L’efficienza economica o l’“ottimo paretiano” esistono quando si raggiunge una situazione in cui non è possibile migliorare il benessere di qualcuno senza peggiorare quello di qualcun altro.
Quindi Pareto teorizza un livello massimo di benessere collettivo calcolato sulle utilità delle persone…
Esattamente e tieni conto che nel suo modello, tutt’oggi dominante, esistono infiniti punti di “ottimo”, per cui diventa un problema di equità, di giudizi di valore, di giustizia distributiva, stabilire quale stato del mondo efficiente sia socialmente preferibile agli altri.
E quali sono le possibili obiezioni a questo modello?
In primo luogo l’estrema difficoltà di passare a uno stato del mondo diverso da quello esistente, senza ricorrere a giudizi di valore sulle forme di “benessere” da preferire. Se si parte da assunti individualistici e utilitaristi sul comportamento umano, non esistono criteri neutri o “tecnici” per trasformare le preferenze individuali in preferenze collettive. Inoltre il mito della concorrenza è stato ridimensionato dagli stessi economisti, che riconoscono la possibilità di fenomeni di fallimento del mercato, in cui l’efficienza non si realizza a causa delle “esternalità”. Con questa espressione gli economisti si riferiscono a fenomeni diversi. Un primo caso riguarda la natura dei beni scambiati sul mercato. Accanto ai normali beni di consumo ne esistono altri con un grado variabile di “non rivalità” nel consumo. Gli economisti parlano di beni pubblici o collettivi. Paul Samuelson ha analizzato questa situazione, nel caso limite in cui la non rivalità del consumo si presume totale e il bene pubblico è definito puro. Qui non è possibile escludere qualcuno dai benefici della fruizione del bene attraverso il consumo che ne faccia qualcun altro. Pensa all’aria, se io respiro non diminuisco la tua possibilità di respirare, né respirando posso impedire a te di farlo.
Certo, il concetto di bene pubblico puro non è privo di ambiguità, perché il grado di non rivalità nel consumo non si definisce quasi mai in astratto, ma può dipendere da specifiche circostanze spaziali e temporali. Per tornare all’esempio dell’aria, se tu ed io restassimo chiusi per due giorni in un ascensore o in un seminterrato, la “non rivalità nel consumo” potrebbe essere riferita all’aria di cui disponiamo in quello spazio e per quel dato periodo di tempo: è alquanto difficile sostenere che in simili circostanze il mio respirare non limiti alla lunga la tua possibilità di farlo, o viceversa. Nonostante questi paradossi, la presenza di beni pubblici in senso economico è considerata dagli economisti una delle cause del fallimento del mercato. Una prima soluzione, oggi peraltro poco in voga, è la loro fornitura diretta da parte dello Stato. Questo pone problemi di contenimento della ...[continua]

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