Allora, ti chiedo una breve introduzione sulla motivazione che ha spinto una persona attiva nei movimenti della sinistra di base a riaprire con tale profondità il discorso su Berneri. Il lodigiano ha dunque molto da dire anche alla vasta area del “socialismo irregolare” (per riprendere l’aggettivazione usata da Gino Bianco a proposito di Andrea Caffi) che si muove dentro i movimenti e le organizzazioni di base? E’ il passaggio da modi della rappresentanza che “sono governati” a quelli che “si governano”, che menzioni nell’introduzione?
Berneri è conosciuto come martire della guerra civile spagnola, assassinato perché si opponeva ai diktat di Mosca che intendeva soffocare il “cattivo esempio” della rivoluzione libertaria (ufficialmente per accontentare la Società delle Nazioni restaurando la “repubblica di tutte le classi”: in realtà Stalin usava la Spagna come pedina di scambio per concludere il patto di non aggressione con la Germania nazista).
Scomoda per tutti (fascisti, togliattiani e liberali), la sua opera -pubblicata parzialmente e con gran ritardo- è passata in secondo piano. Anche una certa “ortodossia anarchica”, anziché lo sperimentalismo antidogmatico di Berneri, ha valorizzato soprattutto le sue critiche ai ministri dell’anarcosindacalista Cnt -maggiore sindacato iberico- nel governo repubblicano del ’36-39. In realtà, c’è molto di più: un lascito teorico impressionante ancora di grande attualità. Di fronte alla “crisi della politica” ed alla débacle della sinistra marxista, anche il “socialismo irregolare” stenta a trovare risposte adeguate. Come segretario dell’Unicobas sono indotto da fatti e comportamenti ad affrontare queste tematiche. Da una parte vedo riproporre la prassi “gruppettara” delle conventio ad escludendum, dei servizi d’ordine che impongono alle piazze sempre più anacronistici “leader” -l’un contro l’altro armato- che fanno e disfano “cartelli” per la lottizzazione e l’egemonia sulle lotte e sui cortei (spesso mere rappresentazioni): coazione a ripetere le tare della vecchia-nuova sinistra che, sotto forma di farsa, rigenerano la malattia del leninismo. Dall’altra, i settori più sinceri paiono succubi di un anti-ideologismo di maniera che rigetta e “parifica” tutte le esperienze storiche, compresa la grande tradizione del socialismo libertario. Il rifiuto di un’indagine senza preconcetti sugli errori del passato non porta risposte per il futuro.
La militanza “antagonista”, eco-sociale e libertaria, si trova così divisa verticalmente fra una maggioranza di gruppi e “cani sciolti” che opera sul territorio ed una (ben divisa e strutturata) minoranza d’apparato che si limita a “capitalizzare” -a proprio uso e consumo- il lavoro di base, trasformandolo in elemento di mera “rappresentanza” per una schiera autoreferenziale di “portavoce” mediatici fermi agli anni ’70. Ma tutto ciò ha origini ben precise e la ricerca della “pietra filosofale” non ha senso: non calerà dal cielo un nuovo Bakunin, tantomeno un nuovo Marx.
Basterebbe invece esaminare la storia per capire che occorre fare quel che non s’è mai fatto: operare una riconversione etica della politica. Il fine non giustifica i mezzi, sono bensì questi ultimi a determinare automaticamente i risultati. Anche se la cosa emerge con fatica, è sempre più netto ed istintivo il rifiuto dell’autonomia della politica. E’ un concetto che gli anarchici hanno continuamente ripetuto, e non si tratta di una “religione” dell’etica. Semplicemente, una sinistra piegata al conformismo dell’ipse dixit ed alla delega non può sviluppare i germi dell’autogestione. Eppure, il resto della sinistra - proprio perché condizionata dal lascito di Marx, il “Machiavelli del socialismo”- ha sempre fatto orecchie da mercante.
Ancora scorgiamo il Sisifo del socialismo autoritario ripercorrere pedissequamente le stesse strade, nonostante la storia dimostri senza appello come la dittatura di partito riproduca matematicamente la servitù economica e m ...[continua]
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