La crisi che stiamo vivendo appare contemporaneamente molto profonda nei suoi effetti e poco chiara nelle sue origini, partiamo da qui?
Luca Fantacci. Questa crisi, che è nata in un settore circoscritto di un paese specifico e si è poi estesa anche ad altri settori e ad altri paesi, viene definita come “crisi di liquidità” o “crisi dei subprime”, dove il termine subprime si riferisce a strumenti finanziari nuovi, che miravano ad estendere l’accesso al credito a strati sempre più estesi, in particolare per consentire l’acquisto della prima casa. L’aspetto problematico della faccenda, quello che è poi esploso con la crisi, è stato il modo in cui questo credito è stato erogato. Possiamo, infatti, convenire che permettere di acquistare una casa a chi non l’ha e non se la può permettere sia un obiettivo sociale condivisibile, ma il problema è che questo accesso è stato consentito a credito anche a persone che non avevano nessuna possibilità di generare un reddito tale da ripagare quel credito. Le banche, infatti, erogavano un credito nella prospettiva che potesse essere remunerato e riscattato non a partire dal reddito del debitore, e quindi dal suo lavoro, ma dall’incremento del valore di mercato della casa. La crescita dei prezzi degli immobili era a sua volta sostenuta dalla facilità d’accesso al credito, in un circolo che era vizioso già nella sua fase ascendente, ma che le banche hanno potuto alimentare senza remore perché l’innovazione finanziaria le metteva al riparo dal rischio di credito. Infatti, il debito del mutuatario non era messo a bilancio dalla banca, ma veniva immediatamente “cartolarizzato”, cioè trasformato in titoli, i subprime, a loro volta emessi sul mercato internazionale, dove c’erano molti investitori che, in una situazione di calma finanziaria, con rendimenti decrescenti su tutti i fronti, avevano l’unico problema di trovare un impiego redditizio per i propri risparmi. Tuttavia qui nasce il primo grosso problema: mentre nel classico mutuo la banca e il mutuatario sono solidali, cioè sono legati in un rapporto di lunga durata dall’interesse condiviso a che il mutuatario possa pagare il suo debito, con la cartolarizzazione si rescinde ogni rapporto fra debitore e creditore, giacché alla banca che ha erogato il credito solo per rivenderlo a terzi, non importa più nulla che venga ripagato o meno. La banca, infatti, ha già realizzato il suo affare, ha già ottenuto dei proventi sotto forma di commissione su queste operazioni: sul suo bilancio non risulta più niente, non ha più nessun interesse in gioco. Questo meccanismo ha portato a che, progressivamente, al momento dell’erogazione del credito, non ci fosse più nessun interesse a valutare se chi prendeva in prestito i soldi fosse poi in grado di restituirli. Tutto ciò per qualche anno ha funzionato, ha consentito ad ampie fasce di popolazione di accedere al credito, ha sostenuto la bolla immobiliare -perché questa facilitazione del credito era pure un modo per dare da lavorare a tutto il settore delle costruzioni-, ha fatto guadagnare le banche e gli investitori in tutto il mondo.
Il problema, però, è che, come si è poi visto, tutto il sistema si reggeva sul fatto che questi titoli continuassero ad avere degli acquirenti che, a loro volta, c’erano fintanto che il mercato immobiliare si espandeva, in modo tale che la rivalutazione dell’immobile fosse in grado, di per sé, di ripagare il mutuo quasi senza lavorare.
Dicevo prima che la peculiarità del sistema che abbiamo visto era quella di rescindere il rapporto fra creditore e debitore, e questo ci porta all’altra definizione di questa crisi, cioè “crisi di liquidità”. Quel che, infatti, è entrato in crisi, è stato un sistema in cui il credito non aveva più la forma di un rapporto solidale fra creditore e debitore, ma di un titolo liquido, ossia sempre negoziabile sul mercato, il che, in generale, implicava che il credito venisse sempre meno erogato in vista del suo pagamento e sempre più in vista della sua negoziazione in forme sempre più differenziate. In effetti, questi titoli sono stati spesso acquisiti ...[continua]
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