Fulvio Papi, filosofo, allievo di Antonio Banfi, è stato nella direzione dell’Avanti con Riccardo Lombardi. Già Professore Emerito di Filosofia Teoretica all’università di Pavia, vive a Milano.

La parola “comunismo” ha certamente concluso il suo ciclo, la parola “socialismo” anche?
Certamente le parole nascono, hanno un momento di fluorescenza, appassiscono. Poi va anche detto che le parole oggi non si comunicano più tanto. La comunicazione avviene solo in gruppi molto ristretti. Io penso che se andassi a parlare di socialismo a un giovane che oggi ha 16 anni sarebbe come se gli parlassi di Napoleone. Credo che questa parola fra le giovani generazioni oggi non possa più attecchire, che sia un seme che non possa dare più né il frutto né la pianta. Ma questo è dovuto al fatto che è cambiata l’esperienza del mondo, e l’esperienza del mondo si fa quando si è giovani. E’ cambiato il modo di relazionarsi con il mondo, il modo di vivere in famiglia, il modo di entrare nelle collettività, il modo di stare a scuola, il modo di andare a lavorare, i modi di entrare in relazione, sono cambiate tutte queste cose, per cui l’elemento dell’essere insieme per ottenere un obiettivo generale che migliori se stessi e tutti gli altri assieme a se stessi pare quasi un ideale religioso, non sociale. Dico questo, a proposito delle generazioni dei sedicenni, dei diciottenni di adesso, aggiungendo che io, peraltro, ne incontro pochissimi e me ne dispiace, quindi posso ben sbagliarmi.
Ecco, ma anche sul piano politico, almeno in Italia, sembra una parola che può sparire…
Se poi andiamo invece a livello politico, beh, lì la cosa secondo me è molto più grave, perché la politica, bene o male, detiene la possibilità della comunicazione. Ora, se i giovani sentissero la parola “socialismo” nella comunicazione sarebbero costretti a domandarsi che significato abbia. Ma, secondo me, in Italia, e questo lo dico con un certo dispiacere, questa parola è stata cassata in un interesse generale dei poteri realmente esistenti. Perché il Partito comunista, che a un certo momento non ce l’ha fatta più a restare se stesso, non ha fatto una grande assise, nuova, che riprendesse il discorso del gennaio del ’21 a Livorno? Perché non ha detto che nel gennaio del ’21 a Livorno si aggirava un grande spettro ideologico, come direbbe Derrida, che era quello della Rivoluzione russa, non pensata secondo quello che era veramente accaduto tra il febbraio e l’ottobre, ma attraverso i libri, i libri di Lenin, per cui diventava una modellizzazione?
Intendiamoci, dalla parte loro i comunisti avevano una ragione, cioè il fallimento della Seconda Internazionale, il fatto che non era riuscita a opporsi alla guerra, il fatto che i socialisti nei parlamenti votarono la guerra (perlomeno i socialdemocratici tedeschi, non i socialisti italiani)… Ma nel ’21 tutto si chiude attorno a una grande illusione, come si fosse trovata finalmente la chiave di volta del socialismo. Un’illusione, va detto, poi gestita materialmente molto bene dai protagonisti, perché i comunisti hanno saputo tenere la clandestinità, hanno saputo entrare bene nella Resistenza, con grande onore, hanno saputo territorializzarsi e riprendere le vecchie tradizioni socialiste in regioni come l’Emilia, la Romagna, la Toscana, le Marche, la Liguria, si sono innervati nel territorio.
Bisognerà aspettare la caduta del muro di Berlino perché il Partito comunista appaia improbabile a se stesso. Ebbene, allora avrebbe dovuto rifare la propria storia, guardarsi allo specchio, non fare questione di nomi, ma questioni di teorie, non dire: “Ce la caviamo noi, cinque-sei intellettuali, io faccio lo sgambetto a te, tu fai lo sgambetto a me…”, ma ritornare veramente a un punto di pensiero e dire: “Va bene, noi abbiamo una storia, che non è da buttare via, non c’è niente da buttar via, ma che va compresa, va ristrutturata”. Bisognava quindi ripensare la scissione di Livorno e non cercare dei nomi nuovi, cambiandone uno dopo l’altro, ma provare a rifondare il senso della propria nascita o il non senso della propria nascita, o l’illusione della propria nascita.
Questo, in fondo, è quello che è accaduto in altri paesi. Anche in Francia il partito comunista era fortissimo. Quando Mitterrand (che non era neanche pulitissimo perché addirittura veniva dalla Cagoule) ha ripreso in mano lo spazio del Partito socialista è successo quello che doveva succedere, che i socialisti sono tornati al 49% e i comunisti ch ...[continua]

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