Voi siete preti che a un dato punto siete andati in crisi, avete chiesto la dispensa dal celibato, vi siete sposati e ciononostante rimanete preti. Volete raccontare un po’?
Chino. La crisi mi coglie negli anni 70, mentre sono vicerettore al seminario regionale di Bologna, subito dopo i tempi di Lercaro, Dossetti e Bettazzi, a cui poi sono subentrato un po’ nell’insegnamento di filosofia teoretica, mentre lui andava ausiliare a Bologna e poi a Ivrea. A un certo punto ci siamo resi conto che dopo il Concilio, che apriva orizzonti molto ampi e vasti, stava arrivando invece una chiusura, agevolata dal fatto che i sedici documenti non erano mai stati assimilati da un certo episcopato fermo praticamente al Concilio Vaticano I e al Concilio di Trento, e che quindi le novità le aveva solo subite. Così mentre noi ci aspettavamo di continuare un cammino in avanti, l’impressione forte era che si cercasse, non solo di frenare, ma proprio di tornare indietro. Durante i ventisei anni di papa Wojtyla e tuttora, con papa Ratzinger i segnali di un ritorno indietro sono molto precisi. Non per niente papa Wojtyla e Ratzinger sono stati insieme per circa trent’anni, a Roma, e in un punto chiave, che era la Congregazione della Dottrina della Fede, o ex Sant’ Uffizio. Qui si è portata avanti sistematicamente, anche se in maniera soft, ma in realtà molto occhiuta, una vera opera di restaurazione.
In che senso soft?
Nel senso che non si ripristinava certo l’Inquisizione dove, ci diceva il nostro vecchio professore di Sacre Scritture, fino agli anni Trenta menavano pure, e però la riduzione al silenzio di tutte le voci innovatrici, dalle rettorìe dei seminari a quelle delle facoltà universitarie, dai direttori di giornali ai superiori di ordini religiosi, sia generali che locali, fu attuata con sistematicità. Celebre il caso del manifesto dei teologi, con il nostro Carlo Molari, Ortensio Da Spinetoli, e tanti altri, ma poi c’è una lunga serie di teologi che furono messi a tacere, quando non ridotti allo stato laicale, che è del resto un’espressione molto impropria, teologicamente non corretta, meglio ancora dire: sospesi a divinis, quanto meno. Ma quando ti riducono in penam allo stato laicale, come capitò all’ex abate di San Paolo Fuori le Mura, Giovanni Franzoni, vuol dire evidentemente che c’è uno scontro di visioni teologiche. Questo a noi diede molto fastidio, perché speravamo che la grande apertura continuasse. Senza aspettarci certo che si gridasse: “Avanti con le comunità di base, avanti con la teologia della liberazione”, e però neanche che si procedesse a uccidere tutte queste esperienze innovatrici. C’è un libro di Giancarlo Zizola, di qualche tempo fa, La restaurazione di papa Wojtyla, dove sono descritti, uno a uno, tutti i punti nevralgici dove ha colpito, riducendo al silenzio ed estromettendo. Ora, sapendo cosa succedeva nella gestione ordinaria della vita della Chiesa a me poi faceva male anche assistere al successo enorme, a base di folle oceaniche osannanti, di papa Wojtyla, certamente grande attore e grande comunicatore.
Cosa vuol dire gestione ordinaria?
Chino. Come faccio a farti i vescovi, come te li nomino, come ti nomino i superiori religiosi a cominciare dal papa nero dei gesuiti, a cominciare dalle facoltà teologiche; quali persone metto dentro? Si aveva il terrore di avere persone che andavano avanti, troppo avanti.
L’immagine poi di un Wojtyla che in Cile appare con Pinochet dal balcone del palazzo. Ecco, quello per me è stato un segnale pauroso: la teologia della liberazione, sospettata di collusione col comunismo, doveva essere uccisa, verso i suoi esponenti si diventava delle belve, mentre si aveva un occhio di riguardo per la destra militare. Non per niente non è mai stato fatto cardinale Helder Camara, un uomo di grande spessore evangelico, di grande testimonianza, tant’è vero che più volte hanno tentato di eliminarlo, la sua casa è crivellata di colpi. E come ci si è comportati di fronte al vescovo di San Salvador, Oscar Romero?
Un comportamento assolutamente indegno. Mentre si procedeva alla beatificazione e alla canonizzazione di Pio IX, della quale Paolo VI aveva detto: “Non ne parleremo mai”, o alla santificazione di Pio X, il papa che sacrificò i modernisti, su Oscar Romero, che andava fatto beato e santo immediatame ...[continua]
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