Quelle che seguono sono considerazioni di carattere personale, che non impegnano il Ministero.
I dati statistici di demografi e sociologi della famiglia registrano una resistenza oltremodo vitale, rispetto ad altri paesi europei, dell’istituto della famiglia italiana.
Questa constatazione innesca un primo ragionamento su un paradosso, perché se invece confrontiamo i dati sulla spesa storica a favore delle famiglie per la creazione di una rete di servizi dedicati, per esempio i nidi, verrebbe da pensare -lo dico provocatoriamente- che in Italia la famiglia funziona meglio perché è stata lasciata in pace dal sistema dei servizi.
In realtà le cose non stanno esattamente così, nel senso che, nonostante una resistenza, che ha a che vedere con la struttura sociale e culturale del paese, le famiglie italiane in realtà soffrono molto la mancanza di servizi ed opportunità pensati a loro favore. Certo, non ne soffrono al punto da non costituirsi più in quanto famiglie, ma ne soffrono nel corso della loro esistenza. Sicuramente ne soffrono le donne e lo si vede dai ridotti tassi di occupazione femminile che a loro volta incidono sulle scelte procreative. Tant’è che la famiglia italiana, pur essendo resistente, è anche una famiglia che fa pochi figli. Una famiglia “liquida” come quella europea si riproduce di più della famiglia italiana.
Ora, a me pare che, date queste condizioni, servano ricette ad hoc, proprio perché la struttura sociale e familiare italiana merita rispetto. Per esempio, se la famiglia italiana si fa carico delle persone non autosufficienti, e noi riteniamo che questo sia positivo, è evidente che il sostegno va fornito là dove si manifesta il bisogno. Sarebbe costosissimo, ed inutile, immaginare di dar vita, esclusivamente, ad una rete estesa di strutture professionali residenziali senza prevedere appoggi diretti alle famiglie che si fanno carico delle persone non autosufficienti ed anche di una rete di strutture intermedie -come le case-famiglia- che possano funzionare sia per esigenze di sollievo che per le esigenze di socializzazione dei diretti interessati e delle famiglie stesse.
Mi sembra che una buona via sia quella di diversificare, di prevedere un mix di strutture residenziali e di interventi di sostegno domiciliari, di interventi di sostegno al reddito per chi vuole occuparsi dei propri cari quando non sono autosufficienti, attraverso il ricorso alle cosiddette assistenti familiari -assistenti familiari che ovviamente andrebbero quanto più possibile integrate nel sistema dei servizi.
Questo mix intelligente di servizi potrebbe essere una soluzione più sostenibile da un punto di vista finanziario, e certamente più percorribile e gradita alle famiglie.
Naturalmente occorrono risorse e nel futuro occorrerà tornare sul nodo di come finanziare stabilmente questo importante segmento della spesa sociale anche sulla base di quanto realizzato a partire da quella specifica intesa raggiunta nel 2007 in sede di conferenza Stato-Regioni, per finanziare una sperimentazione che mirava esattamente a favorire l’emersione, la riqualificazione e l’integrazione sociale e lavorativa delle cosiddette badanti, dando al contempo più garanzie alle famiglie.
Io credo che lo stesso tema dei trasferimenti monetari controllati alle famiglie che svolgono funzioni assistenziali dirette vada esplorato maggiormente. In alcune regioni, come il Veneto, sono attivi interventi di questo tipo con buoni risultati. Un’altra esperienza analoga è quella portata avanti dalla Regione Sardegna con caratteristiche abbastanza similari. Bisogna riconoscere e sostenere le famiglie che si fanno carico direttamente di questi problemi.
Questo per dire che di politiche familiari c’è bisogno e che sono d ...[continua]
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