Al forum che segue hanno partecipato: Salvatore Vassallo, deputato del Pd e membro della Direzione, Roberto Balzani, ora candidato sindaco del Pd di Forlì, Matteo Lepore, coordinatore del gruppo che ha appoggiato Virginio Merola alle primarie di Bologna, Roberto Fasoli, consigliere comunale del Pd a Verona.
Balzani. Prima di tutto devo sottolineare che se noi siamo riusciti a fare questa piccola cosa a Forlì, si deve anche al fatto che il partito è stato strutturato in un certo modo, ovvero sulla base di idee, a cui lo stesso Salvatore Vassallo ha dato un contributo enorme. Quali sono queste idee? Sono che la classe dirigente e le politiche del partito devono essere decise attraverso forme leali di competizione trasparente, che la leadership deve essere contendibile, se ce n’è naturalmente l’opportunità, e che questo è il modo migliore per costruire un partito di massa di nuovo modello, che non preveda una democrazia solo nei livelli alti della sua gerarchia. Anche i vecchi partiti erano a loro modo democratici, ma la democrazia si fermava a livello delle direzioni: una volta presa la decisione, veniva trasmessa a cascata sui vari livelli fino alle sezioni, che sostanzialmente la dovevano condividere quasi obbligatoriamente. Invece qui è prevalsa un’idea completamente diversa, e cioè che ci sono degli elementi decisionali, non tutti ovviamente, perché a livello di massa è difficile decidere tutto da parte di tutti, ma alcuni elementi decisionali di sostanza, che vengono trasferiti direttamente in capo al singolo cittadino, non al singolo iscritto al partito, ma proprio al singolo cittadino attraverso il modello delle primarie. Ora, se non ci fosse stato tutto questo, noi non saremmo neanche partiti, nel senso che una battaglia per mettere in discussione una leadership dentro al partito vecchia maniera, era assolutamente impensabile.
Ora, perché è nata questa sfida? E’ nata sostanzialmente perché dopo le elezioni del 2008 molti di noi si sono chiesti se aveva ancora senso partecipare a una politica fatta così, avevamo visto tante insufficienze, e forme un po’ troppo tradizionali di selezione delle persone. Bisogna dire che una buona mano l’aveva data anche il sistema elettorale che, mettendo la formazione delle liste di fatto in capo alle segreterie, aveva finito col mettere in mora quel meccanismo positivo che il Pd aveva espresso nei suoi documenti fondamentali. Sta di fatto che tutto un gruppo di persone era arrivato un po’ deluso alla primavera, e ci eravamo chiesti: cosa facciamo, ci proviamo, non ci proviamo, ognuno torna a fare il suo mestiere? Era questa la sensazione diffusa. E allora ci siamo detti: “Beh, c’è un modo per fare un’ultima verifica: le primarie”. Il sindaco era una persona per bene, aveva amministrato in maniera assolutamente decorosa, alcuni problemi però nella città c’erano, quindi c’era una questione di vita urbana in qualche modo aperta, e abbiamo pensato che quello fosse il modo per verificare la fattibilità del progetto del Partito Democratico. Cosa ci proponevamo esattamente? Innanzitutto di fare primarie vere. Di vincere non avevamo esattamente l’idea, anzi pensavamo che fosse estremamente improbabile, però pensavamo, attraverso le primarie, di resuscitare lo spirito del Pd. Se anche avesse vinto il sindaco in carica, tutto questo si sarebbe trasformato in una legittimazione supplementare, di cui avrebbe goduto l’intero partito e la classe dirigente. Questa era un po’ l’idea iniziale.
Naturalmente dall’altra parte c’è stata prima una certa dose di sufficienza, poi di malcelato fastidio per questa iniziativa, che peraltro ha raccolto la sottoscrizione a priori del 30% dei componenti dell’Unione Comunale, senza la quale la candidatura non si sarebbe neppure potuta formalizzare. Già questo dato rivelava un dissenso non trascurabile, perché il 30% dell’Unione Comunale non sono due persone.
Dopodiché ci siamo messi a fare la campagna. Ognuno di noi ci ...[continua]
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