Il progetto Axé è nato in Brasile, a Salvador de Bahia, nel 1990, per iniziativa di un fiorentino, Cesare De Florio La Rocca, per sottrarre i bambini di strada alla miseria e al degrado attraverso la “pedagogia del desiderio”: il bambino per prima cosa deve imparare a rispettarsi, viene quindi “accompagnato”a desiderare, sperare, sognare attraverso percorsi di educazione artistica, il ritorno a scuola e l’inserimento in una situazione famigliare. Carlos Roberto Caldas è educatore del progetto Axé.

Da diversi anni fai un lavoro di pratica sociale: puoi raccontare come hai iniziato questa esperienza, a partire dal tuo contesto lavorativo, dalla descrizione dell’organizzazione in cui ti sei inserito?
Ero iscritto alla facoltà di filosofia dell’università federale di Bahia e un collega mi ha raccontato l’attività che stava svolgendo con bambini e adolescenti in “situazione di strada”: sono stato affascinato da questa esperienza. Apro una parentesi: il termine di bambini e adolescenti in “situazione di strada” è stato coniato nel 1992 dallo Stato di San Paolo in opposizione a meninos de rua, molto dispregiativo; questa locuzione include tutti gli individui fino ai diciassette anni per i quali la strada costituisce o il principale spazio quotidiano che permette loro di procurarsi il minimo vitale, oppure un luogo di vita secondario. Mi ricordo anche di aver letto una volta in un libro una frase che diceva che noi siamo responsabili di tutto quello che succede nel mondo e, osservando le persone che vivono per strada, mi sono effettivamente interrogato... Proprio in quel periodo stavano selezionando degli educatori per il progetto Axé, ho inviato il mio curriculum e sono risultato tra i trenta prescelti.
Prima di tutto ho seguito per un mese una formazione con teorici, sociologi, educatori del progetto, poi sono stato mandato in strada. Generalmente si lavora in coppia: un uomo e una donna. Siamo quindi stati destinati in un quartiere che si chiama Farol da Barra (una località turistica di alto livello) dove c’è una grande concentrazione di bambini.
La prima cosa che ci hanno chiesto di fare è stata di osservare il quartiere senza presentarsi ai bambini come educatori, ma di imparare a conoscere la loro vita quotidiana, i loro movimenti, i loro rapporti con il resto della società.
All’inizio la nostra supervisora aveva deciso di non farsi vedere perché i bambini non ci identificassero. Poi si è presentata una mattina molto presto, pensando che i bambini stessero ancora dormendo, e loro si sono precipitati da lei dicendo: “Ma allora è vero, sono degli educatori!”. Noi ci siamo molto stupiti perché pensavamo di essere invisibili, mentre eravamo stati riconosciuti da tempo!
Questa esperienza di osservazione è stata molto interessante e affascinante, ci siamo avvicinati a un mondo con cui sono in contatto tutti i brasiliani che vivono in città, potendo però vedere questa realtà con altri occhi.
Come lavorano gli educatori?
Sono impegnati otto ore al giorno per un totale di quaranta ore settimanali in alcuni quartieri prescelti della città: dalle 8 alle 12 e dalle 13 alle 17; una volta era previsto anche un turno di notte, ma poi è stato eliminato per ragioni di sicurezza.
Il primo obiettivo è entrare in contatto con i ragazzi. Di solito questi bambini e questi adolescenti sono già a conoscenza del progetto (esiste da diciotto anni) e sanno che gli educatori utilizzano metodi educativi particolari e propongono delle attività con lo scopo di mostrare loro che esiste un’altra maniera di vivere.
Le ragioni che portano i ragazzi a vivere in strada sono molteplici; uno dei motivi più frequenti è il deterioramento della relazione con uno dei genitori: può accadere per esempio che il nuovo o la nuova compagna della madre o del padre non accetti questo figlio.
Però possono esserci altre cause, come la mancanza di cibo, la violenza tra fratelli o la semplice curiosità di conoscere la vita di strada.
Attraverso diverse attività -come il disegno, i giochi, lo sport, le letture- l’educatore, con la supervisione dei responsabili del progetto, cerca di “agganciare” il bambino per spingerlo a parlare della propria vita: l’obiettivo è portarlo ad uscire dalla vita di strada che è una condizione molto difficile. Il momento più significativo è quando il ragazzo invita l’educatore a casa sua perché faccia da mediatore con la famiglia nel cercare delle vie d’uscita dalla situazione problematica.
La realizzazione di ...[continua]

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