Patrick Taran è Senior Migration Specialist presso l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, a Ginevra. Ha pubblicato di recente, su richiesta del Consiglio d’Europa, "Economic migration, social cohesion and development: towards an integrated approach” (2009).

Si parla spesso di migrazione in relazione alla questione della sicurezza. Lei rifiuta questo approccio, può spiegare?
La migrazione è fondamentalmente una questione di lavoro e di mobilità umana, una mobilità incoraggiata dalla grande domanda di lavoro nei paesi di destinazione e provocata in molti casi dall’assenza di lavoro decente e dall’impossibilità di sopravvivere sulla base delle proprie capacità e del proprio lavoro nei paesi di origine. Trattare la migrazione come una questione di sicurezza aggrava solo il problema. Per esempio, costruire restrizioni tra una forte domanda di lavoratori e una grande offerta di lavoro vuole dire creare un mercato per intermediari che useranno ogni mezzo perché domanda e offerta si incontrino: dove ci sono restrizioni, cioè, aumentano il traffico e lo sfruttamento, mentre, dove le restrizioni vengono diminuite, dove sono previste migliori forme di accesso e canali legali adeguati, ci sono molti meno problemi di sicurezza. La mia convinzione, quindi, è che affrontare la migrazione come un problema di sicurezza lo renda un problema di sicurezza, laddove trattarlo come una questione di lavoro risolverebbe la problematica delle restrizioni, delle barriere e, di conseguenza, delle attività illegali.
E’ innegabile, tuttavia, che esista una grande pressione ai nostri confini. Come si può affrontare questa pressione senza predisporre dei filtri e delle restrizioni legali?
Bisogna premettere che la maggior parte della gente che viene in Europa entra in maniera legale e anche quelli con uno status irregolare sono entrati legalmente, come turisti, o studenti, e sono rimasti per trovare lavoro. Gli altri, quelli che "violano le frontiere”, sono un numero molto piccolo rispetto al totale e un numero molto piccolo rispetto all’effettiva domanda di lavoro che esiste in Europa. Ad ogni modo sono convinto che se ci fossero canali legali, permessi di entrata, e accesso al lavoro sulla base della domanda di lavoro nei paesi europei, una grande parte del problema sarebbe significativamente ridotta. Non siamo ancora in una fase in cui si possa parlare di un regime globale di mobilità del lavoro senza frontiere. Tuttavia, quello che abbiamo visto, ad esempio nell’area dell’Unione Europea, è che la libera circolazione di individui non ha avuto l’impatto negativo temuto. Dal momento in cui le economie si sviluppavano la gente tornava indietro. E’ successo sicuramente per la Grecia, il Portogallo, la Spagna, l’Italia. Quando questi paesi sono entrati nell’UE, le restrizioni sono state ritirate, perché Germania, Francia, UK hanno visto che molto migranti spagnoli, italiani, tornavano indietro stimolati dai vantaggi di una zona economica aperta.
L’Europa non è l’unico esempio, le stesse dinamiche si vedono in altre regioni. In Africa occidentale, ad esempio. L’Africa occidentale è vista come una delle principali zone di origine, eppure l’80% della migrazione dell’Africa occidentale resta in Africa. Solo il 20% cerca di raggiungere l’Occidente, l’Europa o il Nord America. Non a caso, la comunità economica dell’Africa occidentale ha creato protocolli per il libero mercato, libero accesso al mercato del lavoro, ecc. un processo simile a quello europeo, per quanto incompleto. Questi paesi si sono resi conto dell’importanza di rendere il movimento del lavoro più flessibile. La ragione è semplice: se qualcuno di questi Stati vuole attrarre investimenti o sviluppare attività economiche, nel contesto della globalizzazione, deve sviluppare economie di scala. I mercati individuali hanno al massimo trenta milioni di abitanti e non hanno la capacità di supportare attività industriali, imprese, o nuove economie che hanno invece bisogno di grandi mercati per svilupparsi e per essere competitivi.
La migrazione viene spesso percepita dall’opinione pubblica come una minaccia. Lei ne parla come di un motore di sviluppo...
Al di là dei motivi che ho appena citato, è molto chiaro, dai dati di varie agenzie delle Nazioni Unite, che la migrazione ha un impatto positivo sullo sviluppo. Innanzitutto perché genera nuovi lavori, dopodiché il lavoro dei migranti contribuisce in maniera importante al Pil. Su un altro piano, il lavoro ...[continua]

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