Ad Albergheria, nel cuore della città vecchia, avete aperto una biblioteca per bambini e ragazzi. Potete intanto raccontare?
Donatella. Il quartiere di Albergheria, il cui nome risale all’epoca di Federico II, quando spostò qui le popolazioni che si ribellavano, ha una storia interessante. Se dunque in origine era abitato da gente venuta dalla campagna, nel 1600, quando venne costruita la via Maqueda, perché i nobili potessero edificarvi i loro palazzi, anche all’interno dell’Albergheria vennero edificati palazzi di prestigio. Nel XVIII e XIX secolo l’Albergheria era costituita da grandi conventi, grandi palazzi e una popolazione fondamentalmente artigiana, che serviva i palazzi e i conventi, quindi tappezzieri, vetrai, falegnami. Nel XX secolo si rese necessario allargare la città. I nobili avevano lasciato i palazzi, i piani terra erano diventati "bassi”, il lavoro era poco... Sono gli anni del "sacco di Palermo”, in cui, nell’ambito di una grande speculazione, si cerca di trasferire questa popolazione in periferia.
Questo per dire che oggi in questo quartiere rimangono intanto coloro che hanno resistito a queste "deportazioni” assieme ai borghesi arrivati dopo la riqualificazione dei palazzi che spesso hanno acquistato per avere la casa di prestigio nella città vecchia, e che però non vogliono mescolarsi con chi ci abita, quindi non mandano neanche i figli a scuola qua. Infine sono arrivati gli immigrati, africani, indiani, soprattutto dello Sri Lanka, cinesi e un po’ di Maghreb, che abitano al piano terra dei palazzi dove prima c’erano i laboratori degli artigiani; sono abitazioni in pessime condizioni. Questa composizione si ritrova anche a scuola: in una classe di venti bambini puoi trovare sette nazionalità diverse.
Qui c’è un grave problema di dispersione scolastica.
Donatella. È un disastro. I numeri non rispecchiano la realtà perché ormai fino alle elementari li promuovono anche se non sanno leggere, così quando arrivano alle medie, magari il primo anno gli insegnanti pensano: "Vediamo”, ma poi in seconda media vengono bocciati e al secondo fallimento basta, sono fuori. Quelli che escono a 13-14 anni a scuola non ci rientrano. È altamente improbabile che ci riprovino, intanto perché si rendono conto che non gli serve a niente. D’altra parte la scuola non è adeguata a questa tipologia di bambini, che spesso sono sofferenti, perché hanno una serie enorme di problemi, a partire dalle famiglie -e qui non parlo degli immigrati, ma dei palermitani- perché i loro genitori spesso vivono di attività illegali. Parliamo di bambini che si vedono arrivare i carabinieri alle quattro del mattino per prelevare il padre o il fratello.In una classe un giorno ce n’erano stati tre, la stessa notte.
Quindi sono bambini con difficoltà psicologiche, ma anche pratiche, perché non ricevono l’attenzione di cui avrebbero bisogno. Gli immigrati sono più sistemati: ci tengono che i bambini vadano a scuola, c’è più cura, nel senso che si preoccupano di cosa accade. Certo, poi anche loro devono affrontare delle difficoltà, perché c’è chi arriva a metà anno e non sa la lingua. Nelle classi si accumulano una serie di disagi che avrebbero bisogno di insegnanti toste e invece... Noi abbiamo proposto momenti di formazione, ma le insegnanti non vengono, oppure vengono quelle che non ne hanno bisogno. Molte si limitano a sopportare il periodo in questa scuola sperando di andarsene al più presto possibile, raramente c’è un investimento professionale.
Questo è un po’ il contesto. Quello che allora noi vorremmo fare come biblioteca è proprio lavorare con questi bambini per fargli scoprire le loro potenzialità, per mostrargli che anche loro possono essere bravi, che non c’è un destino già segnato.
Parliamo allora della biblioteca. Com’è nata?
Donatella. La biblioteca come tale nasce da "Nati per leggere”, un progetto sorto in America trent’anni fa in ambito medico-pediatrico, proprio a partire dalla consapevolezza che c’è un rapporto tra cultura e salvaguardia della salute. La salute fondamentalmente è prevenzione e quindi è stile di vita. Questi pediatri avevano visto che la lettura a voce alta aiutava moltissimo e quindi si erano messi a lavorare con le famiglie affinché i genitori, almeno quattro volte la settimana, praticassero la lett ...[continua]
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