L’idea di far nascere un museo del fascismo nella ex casa del Fascio di Predappio ha suscitato un acceso dibattito che ha visto coinvolti anche gli storici.
Questa discussione mi interessa molto in quanto studioso dei luoghi della memoria, ma anche come storico dell’Italia fascista, e come storico di Mussolini, anche se il mio campo sono gli intellettuali, i libri, i giornali dell’Italia fascista, di ciò che la precede e di ciò che la segue.
Già nella prima metà degli anni Novanta, mentre lavoravo a quelli che poi diventeranno i tre volumi Laterza sui luoghi della memoria, si era posto il problema di Predappio: è un particolarissimo luogo della memoria, ancora attivo e conteso? Lo dobbiamo mettere? E chi lo fa? Non era così semplice. L’ho proposto a Massimo Baioni, storico dei processi generativi dei musei di storia contemporanea, che erano all’inizio i musei del risorgimento: una scelta opportuna trattandosi, anche, di uno storico legato ai luoghi. Naturalmente, data la circostanza, mi sono recato anch’io a Predappio. Appena arrivato mi è capitato quel che sarà capitato a moltissimi altri, cioè di vedersi offrire il sangiovese Mussolini (nel nome del pluralismo e dell’opportunismo nei bar vedevi comunque anche il sangiovese Stalin). Mi sono avviato al cimitero. Una volta entrato, ho visto che un’antica camicia nera, stinta, resa grigia dal tempo, mi puntava per capire "cosa” fossi. Facile intuire che non ero un parente di morti predappiesi. Nella cripta c’era gente. Eravamo nella prima metà degli anni Novanta. Le tombe non potevano non ricordarmi la tomba di Giuseppe Garibaldi, per la verità anche la tomba di Luigi Russo, che probabilmente aveva pensato appunto alla tomba di Garibaldi quando si era fatto fare quel tombone gigantesco e pietroso. Ho cercato una fonte che avevo già utilizzato per l’allora beato Leopoldo, il frate confessore nel frattempo diventato santo: i registri con le firme e i pensieri dei visitatori. In quel caso ero andato al convento che sta proprio qui a Padova e avevo scoperto che ce n’erano circa duecento di registri riempiti con le frasi dei pellegrini. Nella cripta di Mussolini ho visto che c’era un bel librone. Appena c’è stato un momento di requie nell’afflusso, ho guardato le date e mi sono reso conto che c’era voluto appena un mese per riempirne uno. Quindi ci andava un sacco di gente. Non c’è dunque dubbio: Predappio è un luogo della memoria, un luogo della memoria fascista, un luogo della memoria italiana, visto che fa parte dei miei studi il reinserimento del fascismo nella storia dell’Italia. Pertanto non l’ho vista come una cosa altrui, l’ho vista come una cosa mia, nostra, dialetticamente dal punto di vista politico, ma non relegabile verso un altro da me, un altro da noi. Me ne dovevo fare carico. Criticamente, da storico. E così è stato. Punto, a capo.
Ma chi abita a Predappio? Ma chi abita a Forlì? È chiaro che ha dei problemi in più rispetto al fatto che almeno tre volte l’anno, ma in passato di più, accorrono migliaia di italiani che hanno interesse a visitare la tomba di un "santo politico” e della sua famiglia. Verosimilmente fra i pellegrini ci saranno anche dei semplici curiosi, ma è probabile che almeno nelle tre date canoniche più che dei curiosi ci siano nostalgici e devoti. D’altronde il pellegrinaggio politico fa parte integrante della storia dell’Italia fascista: c’erano i pellegrinaggi a Redipuglia, al Vittoriale, ai luoghi della Grande guerra, o al "covo” di via Paolo da Cannobio, la redazione del Popolo d’Italia, e altri.
L’amministrazione comunale di Predappio è sempre stata in mano alle sinistre, nel lungo dopoguerra. Problema: come hanno potuto, come possono oggi, e come potranno domani, gli amministratori di Predappio e dintorni, e gli abitanti, a correlarsi a un luogo della memoria che sta a casa loro? È chiaro che han ...[continua]
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