Giuliana Gemelli, professoressa alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna, ora in pensione, è la madre di Giulia, scomparsa nel 2011 per un linfoma.

Avete fondato un’associazione, che è nata da un desiderio di tua figlia.
Sì, è il testamento spirituale di mia figlia, una giovane donna che se ne è andata a 23 anni per un linfoma molto grave dopo avere lottato, combattuto ma anche vissuto intensamente l’anno della sua malattia. Questo è importante dirlo: vissuto intensamente, perché lei non si è mai arresa. Quando finiva le cure, ricominciava a vivere pienamente come aveva sempre fatto, con l’obiettivo di valorizzare al massimo la rete di relazioni con i suoi amici e i suoi animali, il suo cane, Charlie, e la sua cavalla, che amava moltissimo. Credo che il fatto che lei fosse un’amazzone, campionessa di salto a ostacoli, l’abbia aiutata moltissimo nella malattia. Lei ci ha detto: "Fate per gli altri quello che avete fatto per me”.
Così abbiamo fondato la onlus "Associazione Grande Giù for love and Care”, che sta per "Love for animals, care for people”, cioè amore per gli animali e cura delle persone, in particolare dei giovani adulti.
Cosa avete fatto per lei?
Nulla, se non starle vicino cercando di fare in modo che quei periodi in cui era ricoverata in ospedale fossero pieni. Ha imparato a suonare il piano e a cantare con un’insegnante che veniva nel reparto di reumatologia del Sant’Orsola. C’è stata una forte spinta di creatività: organizzavamo delle feste in cui lei cantava e suonava con Gianmaria, suo amico del cuore. Io poi, che lavoravo all’università, avevo la possibilità di avere accesso ad aule, così ho creato una rete di condivisione fatta di amici, della mia generazione ma anche della sua, e abbiamo cominciato a organizzare conferenze sul tema "giovani adulti in oncomatologia”. Questo prendendo alla lettera quel "fate per gli altri quello che avete fatto per me”, cioè offrire la possibilità di vivere pienamente anche i giorni della malattia. Abbiamo chiamato a raccolta gli amici, ma anche professori e medici. Alcuni di questi sono stati meravigliosi, hanno partecipato alle conferenze e ci hanno aiutato a promuovere questo network arricchendolo di vari punti di vista e ambiti: dalla psicologia fino al lavoro paramedico, agli infermieri, ai giovani medici, agli studiosi, eccetera.
Da questi incontri è nato un libro, "Figli di un dio minore - giovani adulti in oncomatologia”, che ci è servito da volano per promuovere il progetto che ci è stato poi approvato dal comitato etico del Sant’Orsola. Ora lo dirige una giovane dottoressa che ha abbracciato l’obiettivo dell’associazione. Lei aveva seguito Giulia fino all’ultimo, con grande coraggio, e l’aveva aiutata ad andare a Monza a fare una cura sperimentale che l’ha fatta stare bene per due mesi. Poi purtroppo la malattia ha preso il sopravvento.
Mentre organizzavo questo network, avendo anche con noi una ragazza che ha fatto una tesi magistrale con me su questo tema, siamo riusciti a coinvolgere il centro più importante in Italia, che poi ha realizzato pienamente questo percorso: parlo dell’area giovani del Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, in Friuli. Proprio lì noi avevamo trasferito la cavalla di Giulia... Di lì è nato tutto, dal direttore del Cro Maurizio Mascarin, un uomo straordinario, un medico a 360 gradi, che ha creato questa cosa stupenda, credo unica in Europa: un reparto esclusivamente dedicato ai giovani, pieno di vita, di iniziative. Lì hanno portato in visita i piloti delle Frecce Tricolori, fanno spettacoli, organizzano iniziative coi licei, feste, maratone, pubblicano libri... Per Mondadori è uscito un libro di testimonianze di giovani pazienti, "Non chiedermi come sto ma dimmi cosa c’è fuori”. Insomma, hanno reso vitale un sistema che purtroppo in Italia non c’è.
Parli delle cure ai giovani adulti...
Sì, in Italia i giovani adulti sono negletti dalla medicina ufficiale; o si curano i bambini, o gli adulti. I giovani adulti non entrano nei trial, non hanno accesso alle sperimentazioni di punta, vengono trattati o dai pediatri o dai medici degli adulti, senza che ci sia una specificità di approccio nei loro confronti. È una sorta di "No man’s land”, per questo li abbiamo chiamati "figli di un dio minore”. Ora però le cose stanno cambiando. Sono nate in America associazioni specifiche, a ...[continua]

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