Ultimamente, in particolare in Cybermonde, la politique du pire, si è molto occupato di Internet, che idea se n’è fatta?
Internet, secondo me, rappresenta il segno precursore, la struttura di lancio delle future autostrade elettroniche. In altri termini, si tratta solo di una struttura promozionale. Questo è il motivo per cui non posso considerarlo come un oggetto definitivo, ma solo come un oggetto pubblicitario, i cui prezzi di lancio sono molto convenienti. In breve, Internet è una macchina che serve a provare fin dove si può arrivare con lo spazio cibernetico. Da questo punto di vista, è un grande test condotto su scala mondiale.
Eppoi, ritengo sbagliato considerare Internet come un punto di arrivo: si tratta, al contrario, di un inizio. Ed è proprio per questo che sono così critico al riguardo. Penso che Internet non debba diventare quel che, in parte, è già, cioè un enorme buco nero, un luogo dove tutto è possibile, compreso il peggio.
Con Internet noi siamo posti di fronte alla tentazione di una democrazia live, che non sarebbe una democrazia diretta come quella dei cantoni svizzeri, ma una democrazia dell’Auditel, simile a quella che Berlusconi immaginava di introdurre in Italia, ossia un governo automatico, in cui il sondaggio rimpiazzerebbe il voto e la capacità di interagire istantaneamente sostituirebbe la riflessione. Vorrei però ricordare che la democrazia è certamente condivisione della decisione, ma è anche condivisione della conoscenza, riflessione in comune.
Ora, Internet è una macchina che sostituisce la riflessione con il riflesso. La tentazione di Internet, quindi, è quella di predisporci a reagire istantaneamente: la rapidità dello scambio mediante i mezzi di comunicazione tende ad abolire il tempo della riflessione, che invece è necessario alla democrazia. Beninteso, io non sono contrario a che si voti rapidamente, per alzata di mano o in qualsiasi altro modo, in una assemblea, a condizione, però, che vi sia stata in precedenza una concertazione comune, collettiva e solidale, e non un mero riflesso solitario. Dietro la democrazia elettronica, di cui Internet è l’antesignano, si nasconde la minaccia della cibernetica sociale, che costituisce, a mio avviso, l’apice di ogni tirannide, così come temeva Norbert Wiener, uno dei padri della cibernetica contemporanea. Per lui, infatti, la cibernetica era positiva, a condizione, però, che non si tramutasse in un fenomeno politico. In questo momento, invece, la cibernetica sta diventando un fenomeno economico-politico mondiale, per via dei grandi gruppi, già molto numerosi, che gestiscono, attraverso il web casting, la rete mondiale di informazione in cui navigano i nostri internauti.
Nei suoi ultimi libri, lei sottolinea uno dei maggiori rischi conseguenti alla diffusione di Internet: la scomparsa di ogni legame sociale perché l’internauta perde ogni contatto con la realtà che lo circonda, potendo svolgere tutte le proprie mansioni via computer. Tutto ciò che conseguenze comporta per la città, così come noi la viviamo?
Per me, che sono urbanista, il problema della città è legato al problema della prossimità. La città è nata affinché gli uomini costituissero una società stando insieme, e non separati. Infatti, mentre la società rurale è frantumata, la società urbana è concentrata. Questa concentrazione è frutto del diritto di cittadinanza, il primo fra i diritti umani: in altri termini, quando si è insieme, si rappresenta un potere, una società. Non a caso, la città è il luogo in cui è stato inventato il diritto. Credo che la prossimità fra gli individui sia alle origini della politica, nel senso della polis. Oggi, invece, le teletecnologie dell’azione a distanza, come le videoconferenze, offrendoci la possibilità di interagire con chiunque, dovunque esso si trovi, fanno in modo che chi è lontano divenga altrettanto prossimo di chi è vicino.
Con una grande differenza, però: chi ci è vicino, è a noi prossimo con la sua carne, il suo peso, la possibilità di recarci disturbo e noia, mentre chi è lontano, lo possiamo spegnere, interrompendo così la sua prossimità. Insomma, chi c ...[continua]
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