Pigi Bernareggi, milanese, missionario in Brasile dagli anni Sessanta, è tra i fondatori, insieme a don Giussani, di Gioventù Studentesca, che in seguito diventerà Comunione e liberazione. Il suo impegno a favore dei senza-casa in Brasile ha prodotto risultati straordinari che vengono studiati in tutto il Terzo Mondo.

Da tanti anni, ormai, lavoro come prete a Belo Horizonte. Tutto era iniziato da ragazzi, sui banchi del Berchet, quando l’incontro con il professore di religione, don Giussani, ci fece riavvicinare al cristianesimo. Ci impegnammo a vivere l’esperienza cristiana a scuola, prima al liceo poi all’università, anche se lì, essendo meno seguiti dal professore di religione, non ci era facile mantenere una vita di comunità ben fatta come al liceo. Comunque, sono andato avanti in questa compagnia fino alla fine dell’università, dopo sono stato un anno da mio padre, che aveva un commercio di acciaio, poi nella comunità mi hanno proposto di andare in Brasile insieme ad altri amici per aiutare la chiesa di Belo Horizonte a sviluppare una presenza nei licei, un po’ come avevamo fatto noi. Così, in quattro amici, ci siamo spostati lì. Nel frattempo la decisione di diventare prete era già stata presa. Infatti, sono stato ordinato dalla diocesi di Belo Horizonte nel ’67, eravamo alla vigilia del disastro generale: di lì a poco, tanti amici si sarebbero dati alla militanza politica e alla clandestinità. Uno degli amici partiti con me si fece prete, ma lasciò dopo pochi mesi; un altro decise di non continuare dopo il diaconato; altri sei o sette italiani, che come noi avevano scelto di entrare in seminario in Brasile, diventati guerriglieri di movimenti clandestini, dovettero scappare per non farsi prendere, tornarono in Italia e si dispersero in altre cose: si sono sposati o hanno fatto altri lavori. Lì c’era l’Azione popolare, poi c’è stato un movimento cino-maoista d’alto bordo che fu soffocato nel sangue. In breve, gli unici rimasti lì, con la convinzione che invece la strada giusta era proprio quella della comunità cristiana, fummo io e Berto Antognazzi, che era stato capo dell’Azione Cattolica giovanile qui a Milano, mentre io ero presidente di Gioventù Studentesca.
Fatto è, però, che la nostra presenza all’università era andata a farsi benedire, e quell’idealismo della comunità cristiana che ci aveva mosso fin dai banchi di scuola veniva ormai considerato da tutti una cosa d’altri tempi. Gli stessi vescovi si ricredettero, pensarono che "non eravamo all’altezza" e il lavoro della Chiesa nell’ambito educativo fu sospeso. Mi mandarono a lavorare in una parrocchia di periferia. Lì i contatti con l’ambiente delle scuole e dell’università erano minimi. Davo lezioni all’università, ma non avevo la possibilità di seguire l’ambiente universitario. Poi sono stato parroco e viceparroco in vari posti, in periferia come in centro città, sono ormai cinque i posti diversi in cui ho lavorato a Belo Horizonte; mi sono dedicato soprattutto alla periferia e al mondo della favela, al mondo dei senza casa e dei senzatetto. Ho fatto molto lavori in quel settore.

Certo, in quel periodo mi sono anche sentito solo. Intendiamoci, l’appoggio dall’Italia non è mai venuto meno perché don Giussani, anche durante quel periodo disastroso veniva, ogni due anni tornavamo noi, io mi fermavo un paio di mesi, ricevevamo grossi aiuti, mandavano sempre le bobine dei loro incontri. Per questo non ho sentito una sorta di blackout con l’esperienza di Gioventù Studentesca, assolutamente. Certo, per la maggior parte dell’anno si era lì senza quelle amicizie... Però, credo anche che questo sia stato importante perché mi ha aiutato ad affrontare la questione della vocazione, della Chiesa, della comunità cristiana da un punto di vista meno protetto, meno dipendente. La presenza dei nostri amici in Brasile è ripresa dal ’72 -’74. Passata la grande ondata dei disastri, a San Paolo questa volta, non più a Belo Horizonte, alcuni nostri amici di Fermo hanno ritentato una presenza nelle università. Il cardinale di San Paolo, sapendo che qui in Italia, nell’università, era cresciuta una presenza ormai molto importante della comunità di don Giussani, a differenza dei vescovi di Belo Horizonte, era favorevole e fu lui stesso a chiedere loro di non rimanere in parrocchia, se non per il tempo necessario a conoscere l’ambiente brasiliano, la lingua e per ordinarsi preti. Ormai, però, eravamo in una nuova fase, quella di Comunione e Liberazione. ...[continua]

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