Come giudicate la scissione di Comencini e della Liga Veneta?
Bozzini. L’uscita della Liga veneta dalla Lega Nord di Bossi è stato un grande momento di autonomia. Affermando l’identità del Veneto, che esiste ed è vera, Comencini ha mostrato che Bossi si stava inventando un’identità artificiale, la Padania appunto, che divideva coscientemente i ricchi dai poveri. L’obiettivo di Bossi era quello. Noi invece i ricchi e i poveri li abbiamo dentro il nostro territorio. L’interclassismo veneto è qualcosa di molto fertile dal punto di vista civile, perché unisce ricchi e poveri nella comune identità. Noi i nostri poveri li vogliamo. Contano per uno. Da noi un ricco e un povero valgono uno, e lo sanno! Quando l’operaio, trovato un altro posto, si licenzia e fa la guerra al padrone, lo fa perché sa di valere quanto lui. La caduta del concetto di classe porta all’acquisizione del concetto di uguaglianza, totale e assoluta. Nel concetto di classe, in quanto lotti ti senti inferiore. Se vali per uno, hai acquisito il concetto di cittadinanza, sei uguale agli altri. Questo è il punto d’arrivo di una civiltà altissima. Se davanti a uno sportello ti arrabbi, lo fai da padrone di diritti nei confronti di uno che i tuoi diritti non li sta rispettando, pur essendo pagato per farlo.
Noi abbiamo dato i carabinieri e le donne di servizio a tutta Italia e tutti costoro dicevano: "Comandi!". Il Veneto? "Comandi!".
Aldrighetti. Comprese le nere...
Bozzini. Già, la donna nera della pubblicità dell’olio Sasso, ve la ricordate? Diceva "Comandi!" con accento veneto! Era il massimo simbolo della schiavitù, se ci pensate. Adesso state pagando la pubblicità dell’olio Sasso, voi italiani. L’avete fatta voi.
Quindi, la Padania non ha una vera identità secondo voi...
Bozzini. Non lo so e non voglio giudicare. Etimologicamente, la parola "identità" deriva dal latino idem, che vuol dire "stesso, identico". Per cui mi ritrovo uguale a me stesso nel passare del tempo. E questa è la versione soggettiva. Ma c’è anche la versione oggettiva, pericolosissima, per cui "identità" vuol dire che mi trovo uguale ad Antonio, ma diverso da Giulio. Bisogna stare molto attenti a questo passaggio perché, secondo me, identità non è sinonimo di esclusione. A questo proposito, mi viene in mente un esempio bellissimo. Un giorno un conoscente di Verona mi ha detto: "Le nostre nere sono più belle di quelle di Vicenza". E’ stupendo: "Le nere veronesi", vi rendete conto?
L’identità è alla radice del malessere veneto?
Bozzini. Secondo me, l’identità è dinamica perché cambia nel tempo: entrando in relazione con altri, scambio idee, acquisisco valori, divento diverso da quello che ero. Se nelle fabbriche veronesi le assemblee si tengono in dialetto, e a Forlì no, vuol dire che c’è una differenza. Ora, l’identità è individuale e collettiva nel senso che ci sono delle cose che legano il me del 1998 al me di trent’anni fa e mi rendono riconoscibile nel tempo. Però ci sono delle cose che sento uguali ad Antonio, dei luoghi comuni. Luigi Meneghello in "Libera nos a Malo" rappresenta l’identità comune di noi veneti. E il libro di Meneghello, scritto nel ’63, che ognuno di noi ha letto in privato, oggi diventa un fatto politico perché tutti noi diciamo: "Siamo quella roba lì".
L’identità è quanto di più complesso e fluido si possa immaginare. Siamo riusciti a immaginarci una classe operaia che unificasse il Nord e il Sud. L’operaio metalmeccanico di Verona era identico, per contenuti, valori e bisogni all’operaio di Taranto. Abbiamo preso la buccia dell’essere umano che lavorava in un settore, il "metalmeccanico", a Verona e l’abbiamo equiparata all’operaio dell’Italsider di Taranto. Ma è quanto di più esterno esista all’essere umano, la tuta! E’ quanto di più transitorio e fragile! L’identità unisce tanto quanto divide. Unificava gli operai veronesi agli operai tarantini, però li separava dal barbiere, dal macellaio, dal fruttivendolo. Insomma, li chiudeva al contesto sociale in cui erano inseriti. In Veneto, ormai, le classi in senso proprio non esistono più.
Qualunque operaio iscritto alla Fim-Cisl sa che domani, se vuole, può mettersi in proprio. Non è che sia un’avventura più di tanto, deve solo decidere di lavorare un po’ di più, di avere dipendenti rompiballe, di ...[continua]
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