Qual è il reale significato del conflitto etnico nella ex Jugoslavia?
Va messo in assoluta evidenza che in tutta la ex Jugoslavia il cosiddetto conflitto etnico non è una piaga che si protrae da secoli, magari connaturata, come si sente talvolta dire, nelle genti di quei luoghi. Si tratta soltanto di una drammatica e tragica lotta di potere. E non parlo solo di una lotta per il potere personale, ma anche, più in generale, di uno scontro tra democrazia e dittatura, tra rispetto e disprezzo dei diritti umani, tra federalismo ed accentramento. In questo modo si può capire, ad esempio, la guerra slovena: non si è trattato di un conflitto etnico, ma di un chiaro scontro tra un regime già liberale europeo ed un regime dittatoriale; pochi sanno ad esempio che gli sloveni si sono ritirati dalla polizia federale di stanza in Kosovo fin dal 1985, perché non accettavano la repressione.
Perché non è stato possibile applicare al Kosovo un modello simile a quello adottato a Dayton per la Bosnia? In particolare, cosa impedisce di dar vita in Kosovo ad un "obbligo di convivenza" simile a quello realizzato in Bosnia-Erzegovina?
Quello di Dayton è un accordo cornice, i cui dettagli concreti sono contenuti nei dieci allegati. L’accordo si limita a prevedere la Bosnia come Stato composto da due unità statuali: la federazione croato-musulmana, che controlla il 51% del territorio, e la repubblica serba (Republika Srpska), cui spetta il restante 49%. Gli allegati 4 e 6 dell’accordo contengono la Costituzione dello stato bosniaco, la cui natura giuridica è però ancora incerta. La Bosnia è infatti uno stato composto da due entità "etnico-territoriali", ma non si sa bene se si tratti di uno stato federale, di un’unione o di una sorta di stato decentrato. Materie tradizionalmente assegnate alla competenza dello stato centrale, come l’esercito o la polizia, sono gestite dalle due entità costituenti, ed è pertanto assai difficile stabilire il confine tra norme costituzionalmente legittime ed illegittime. Anche il sistema costituzionale disegnato dagli allegati all’accordo è particolarmente complesso. L’allegato 4 si fonda principalmente sull’idea dei "popoli costituenti", i quali partecipano in modo paritario alla gestione delle istituzioni dello stato. A loro volta, tali istituzioni sono particolarmente complesse, se si pensa che esistono ben dieci entità, previste dalla costituzione statale e da quelle delle entità costitutive, incaricate di vigilare sul rispetto dei diritti umani.
Va inoltre premesso che l’obiettivo principale dell’accordo di Dayton era il mantenimento dell’integrità statuale della Bosnia-Erzegovina, uno stato già riconosciuto dalla comunità internazionale. Il diritto di autodeterminazione esercitato dalla componente serba in Bosnia ha pertanto una dimensione meramente interna.
Su questa base è stato possibile imporre un obbligo di convivenza tra i tre popoli costituivi dello stato ("bosniaci", croati e serbi). Proprio in questi giorni la Corte costituzionale bosniaca sta valutando un delicato caso sul rientro dei profughi, in cui la questione verte proprio sull’esistenza o meno di un obbligo giuridico di dar vita ad una società multietnica.
Questa lunga premessa sul caso bosniaco è necessaria per poter capire la risposta alla domanda. In primo luogo, la situazione del Kosovo è molto diversa da quella della Bosnia alla vigilia dell’accordo di Dayton. Se la Bosnia-Erzegovina era un modello di plurisecolare pacifica convivenza, degenerata solo dopo la strumentalizzazione del fattore etnico da parte del regime di Milosevic, il Kosovo è già da tempo un esempio di segregazione tra serbi ed albanesi, e tanto più dopo la violenza di questi mesi viene da chiedersi se una società multietnica in Kosovo sia possibile o anche auspicabile. Personalmente dubito che vi fossero già prima e tanto più ora le condizioni per una società plurietnica in Kosovo.
In secondo luogo, nonostante in Bosnia vi fosse una predisposizione sociale alla convivenza molto maggiore di que ...[continua]
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