Paolo Petrocelli è insegnante di storia e filosofia alle scuole superiori, Patrizia Ghirardelli e Claudia Fanti insegnano alle elementari, e Paola Malvina Bertaccini nella scuola dell’infanzia statale.

Le riforme proposte da Berlinguer hanno scatenato molte e vivaci proteste tra gli insegnanti. Cos’è che vi ha maggiormente contrariato?
Paolo Petrocelli. Secondo me, nel tempo ci siamo resi conto di tre cose. La prima è che queste riforme sono state tutte verticistiche, imposte dall’alto e hanno svalutato completamente il nostro lavoro di insegnanti. Noi abbiamo un sapere di tipo artigianale, cioè frutto del lavoro quotidiano; si tratta di un sapere concreto, naturalmente non privo di profondità teoriche, ma prodotto sul campo. Ecco, questo sapere è stato completamente azzerato, non è stato minimamente considerato: le riforme sono state tutte calate dall’alto; alcune sono state addirittura blindate a livello parlamentare. Una riforma importante come quella dei cicli, ad esempio, avrebbe dovuto nascere da un dibattito, da un confronto, da una valorizzazione delle esperienze positive. Così non è stato.
La seconda cosa che desta preoccupazione, collegata alla prima, è la determinazione a non voler tenere conto degli eventuali segmenti dell’istruzione che potevano funzionare. E’ stata fatta una riforma all’insegna del "cambiamo tutto". Ma a volte cambiare radicalmente tutto non è la scelta più opportuna per migliorare. Faccio un esempio: con la riforma dei cicli s’è ristrutturata completamente la scuola elementare, senza nemmeno verificare se l’ultima riforma, quella dei moduli, avesse funzionato o meno; non lo sappiamo. Almeno valutiamo e poi vediamo cosa cambiare. Invece no, si cambia completamente, tra l’altro sottraendo un anno ai ragazzi, perché la riforma dei cicli prevede un anno in meno. Quasi tutti i paesi europei prevedono infatti 13 anni, non 12 come avremo noi. Terza e ultima cosa, il linguaggio della riforma. Le scelte linguistiche rispecchiano una precisa idea di quello che stai facendo. Ebbene, noi abbiamo un linguaggio delle riforme orribile, con termini tratti dall’economia, dal linguaggio aziendale, con sigle asettiche, che non sono efficaci per descrivere una realtà così complicata come la relazione educativa; è uno schema preso dall’azienda e portato pari pari all’interno della scuola.
Patrizia Ghirardelli. A questo aggiungerei solo il fatto che tutte queste novità sono arrivate soprattutto come nuove modalità organizzative, senza contenuti. Infatti c’è stato per tutti un attimo di smarrimento, perché ci si interrogava su cosa effettivamente volesse dire quel determinato cambiamento; questo vale in particolare per la riforma dei cicli e per l’autonomia, che dovrebbe partire a settembre, ma ancora di cosa si tratti esattamente molti di noi non lo sanno. Vengono introdotte delle modalità organizzative diverse, che non sono state però riempite di un qualche contenuto specifico o di qualche indicazione particolare che ti faccia intravedere qual è il percorso generale...
Claudia Fanti. Una volta il ministro Berlinguer in una seduta parlamentare disse che la scuola elementare è il fiore all’occhiello della nostra organizzazione scolastica. E ora, unificando il ciclo di base, contano su una contaminazione positiva della scuola media dove avverrebbe un travaso di competenze e qualità dalla scuola elementare. Ecco, francamente questo noi in generale non lo condividiamo, perché è vero che ci vuole una continuità, ma nel rispetto anche della differenza delle età evolutive dei bambini e dei ragazzi.
La scuola elementare infatti deve poter funzionare con un numero limitato di figure di riferimento, come è adesso. Il rischio è che ci sia invece un mescolamento delle carte, per cui insegnanti di scuola media e insegnanti di scuola elementare verrebbero a lavorare insieme con fasce d’età a cui non sono abituati.
Inoltre c’è il pericolo di rompere l’unità della classe. Perché probabilmente la classe non esisterà più, verrà sostituita da gruppi modulari, dentro i quali i bambini verrebbero messi e tolti quotidianamente, a seconda delle necessità dei vari insegnanti che vengono a ruotare su di loro. Quindi il bambino, che ha bisogno di riferimenti costanti, di amici, di relazioni fisse in cui ritrovarsi, verrebbe a perdere tutti questi punti di riferimento. Con grandissimi problemi anche nell’organizzazione, perché già adesso facciamo fatica a gestire gli orari di questi bambini. E soprattutto ...[continua]

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